14.4 Legami

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« Dubito che lo sbocciare di una rosa mi incanterebbe allo stesso modo » le sussurrò, faticando a trattenere una risata genuina generata dall'assurdità di tutta quella situazione

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« Dubito che lo sbocciare di una rosa mi incanterebbe allo stesso modo » le sussurrò, faticando a trattenere una risata genuina generata dall'assurdità di tutta quella situazione. Non pareva che esistesse nessun altro, eccetto loro due. Non un regno, non una guerra, non un'amicizia tradita né un fratello pugnalato. Non c'erano Cassivellanus né Almashan, non c'era ansia, non paura né dolore in quell'aura splendente del loro sentimento nato all'improvviso, come una tempesta nell'oceano.
« La dolcezza non ti si addice, per niente, Maitreya. »
Le labbra di Vissia sbocciarono rivelando un sorriso bianco come margherite; quella era forse la prima volta che osava pronunciare il nome del sovrano in sua presenza e quel suo suono, duro eppur melodioso, le carezzò le corde vocali similmente alla brezza primaverile nei campi di giunchiglie.
« Hai ragione » confermò, facendo leva sul gomito per rialzarsi dal materasso e posare un secondo, casto bacio sulla rosea e sottile bocca della ragazza « meyhi rowhenna » bisbigliò ansante, tra le braccia di Vissia che si erano richiuse intorno al suo collo, impedendogli di allontanarsi da lei.
« L'hai ripetuto così tante volte, che non credo nemmeno di voler sapere cosa significa. Rovinerebbe il sapore ammaliante che lo avvolge » confessò Vissia, silenziosamente superando la barriera dei vestiti di Maitreya e carezzandogli la schiena calda e levigata. Non era ancora del tutto cosciente di quanto stesse accadendo intorno a lei, la testa resa pesante dai postumi del Lhuryll ed i ricordi ammantati da una limpida e piacevole nebbia che non le lasciava percepire i sensi di colpa i quali, di lì a poco, l'avrebbero colta. Le sembrava di essere caduta a terra e rialzatasi su di una nuvola, o una stella così lontana da permetterle di sognare, godere degli attimi che, in cuor suo ne era consapevole, sarebbero fuggiti come grilli tra l'erba. Irrecuperabili, neri desideri della notte scivolati dalle sue mani per cercare libertà dalla sua gioia.

Carpe diem.

Due parole le balenarono come fulmini tra le foschie della sua mente, illuminandola ed attraversandola con la loro scossa. Cogli l'attimo. Cogli il giorno, quasi fosse un frutto maturo su una pianta, un fiore all'apice della bellezza. Assaporalo, gustane la polpa e godi del suo profumo fintanto che esiste, che rimane. Esso marcirà nella terra, in futuro, ed i petali si avviliranno e perderanno colore, la vita morirà e non si avrà altra consolazione se non l'attimo fuggente che si è riusciti a conquistare.

Quam minimum credula postero.

Confida meno che puoi nell'avvenire. La caligine di ciò che verrà non è altro che illusione, chimere invitanti che distolgono dal flusso palpitante del presente, irretendo con eroici racconti impossibili che mai sapranno guidare un solo animo nella notte. Si perde, chi giace nel passato. Si smarrisce, chi vaga nel futuro. L'unica certezza è qui, ora, adesso.
Si strinse più forte al corpo di Maitreya, bagnandolo con lacrime che avevano iniziano a solcarle gli zigomi ormai illividiti, lacrime di uno spirito in balia di una procella violenta e aizzante che mai si era placata dal suo primo respiro in quella terra. Sentiva di essere più viva, la sofferenza che le mordeva la gola la rendeva più reale, le ricordava il significato dell'essere al mondo. Un significato che sapeva, nel profondo, di aver perso da troppo tempo e che, riacquistato, l'aveva investita con la sua portata. Una portata tanto imperiosa ed importante da tramortirla.
Percepì la bocca di Maitreya baciarle lo sterno nudo ed i suoi ricci solleticarle il seno, quando un rumore alla porta li fece sobbalzare entrambi.
Qualcuno stava insistentemente bussando, le sue nocche pareva stessero graffiando il legno già rovinato per essere notate, sentite, in attesa di una risposta.
Vissia riuscì a sfiorare i muscoli irrigiditi di Maitreya prima che questo si ritraesse, colto alla sprovvista dall'inaspettato invasore che, con un solo gesto, era riuscito a rubare ad entrambi i loro salvifici vaneggiamenti.
« Chi diavolo è? » il sovrano si voltò in direzione dell'entrata, la voce incrinata dal fastidio nauseabondo che quell'intruso era riuscito a provocargli troppo velocemente. Già non era riuscito nell'intento di parlare chiaramente con Vissia, distratto dalla semplice ed innocente bellezza della ragazza; se poi non poteva neppure approfittare dei germogli di quel suo tradimento irremissibile, l'ira non aveva altra scelta che riaffacciarsi in lui, ribollendo nel sangue di Kaitos che ancora gli scorreva nelle vene.
« Che cosa diamine stai facendo chiuso lì dentro, Maitreya? Almashan vuole vedere Vissia, ma non so dove sia. In camera sua non c'è, non trovo nemmeno Mocma. Credo siano insieme, ne sai qualcosa? »
Maitreya arrestò all'istante la propria avanzata furente, non appena riconobbe la voce di Veer farsi largo tra le fessure dell'imposta e riportarlo nel mondo reale. Quello in cui lui, con Vissia, non aveva nemmeno condiviso una sola parola gentile. Anzi, ricordò una della poche frasi rivolte a lei in tutti quei giorni trascorsi da estranei rinchiusi nello stesso luogo: sarai la sua nuova rovina. Era questo che l'aveva spinto a trattarla con sdegno, inizialmente. L'idea che il suo migliore amico potesse chiudere gli occhi una seconda volta, troppo accecato dall'amore scottante per una donna, ed abbandonarlo, come già aveva fatto, per qualcun altro.
Rivolse uno sguardo alla diretta interessata e non ebbe modo di negare l'evidenza; era stato lui, in fin dei conti, a farsi torcere la vista da una donna.
« Sì, è con lei » improvvisò, cercando di mantenere un tono di voce neutrale ed affidabile « avevo chiesto a Mocma di andare a comprare delle stoffe, non voglio usare altri vestiti di Gaverna ma nemmeno lasciare Vissia senza indumenti. E ho pensato fosse opportuno che fosse lei stessa a sceglierle » raccontò, rivelando una parziale verità.
Aveva effettivamente ordinato alla serva di fare provvista di tessuti e chiamare sarti abili e veloci per concedere a Vissia degli abiti che le appartenessero. Ma di certo non l'aveva lasciata andare con lei tra la plebaglia, si sarebbe distinta subito da quei volti arcigni e dai fianchi larghi delle cortigiane, avrebbe avuto l'attenzione di tutti quanti le si avvicinassero. Una signora, di ceto elevato e nobili natali, non avrebbe mai preso parte ad un evento tale, neppure se quelle stoffe fossero state per il suo matrimonio. Vissia, però, non era a tutti gli effetti parte della nobiltà. Quindi la scusa avanzata a Veer era più che credibile, certo lui non si sarebbe fatto i medesimi problemi che Maitreya si era posto. A Veer, il popolino, non aveva mai dato troppo disgusto.
« Posso entrare? Devo parlarti, è successo così tanto a Ctekratos. »
Gli occhi di Vissia, rimasta fino a quel momento immobile, pietrificata dalla situazione inaspettata che troppo presto le stava facendo pesare i suoi gesti, si spalancarono fin quasi a rotolare sul pavimento di legno crudo. E l'espressione che Maitreya le rivolse fu eloquente quanto la sua: doveva sparire, alla svelta.
« Sì, finisco di scrivere una lettera e ti apro. Era troppo importante, non potevo rischiare che qualcuno m'interrompesse e la vedesse » aggiunse un altro ciondolo alla meravigliosa collana di bugie che in una sola giornata era riuscito a creare. Era sorpreso lui stesso di quanto stesse riuscendo bene ad infossare i propri tradimenti. Se avesse avuto il tempo di stringersi la mano da solo, l'avrebbe fatto. Ma di tempo ve n'era così poco da non lasciargli spazio sufficiente a respirare.
Raccolse da terra la sottoveste della ragazza, gliela porse e si fiondò ad aprire l'armadio. Se ben ricordava, era tanto che non ne aveva bisogno, sulla parete di quel nodoso mobile si apriva una piccolissima entrata per un corridoio nascosto tra le pareti di Thora Koshra. L'aveva creato con l'aiuto di uomini che, malauguratamente, erano dovuti morire l'istante dopo che quel passaggio si era concluso: collegava la sua stanza a quella di Gaverna e di Mothalthin.
« Vissia » la chiamò, togliendo dal fondo dell'armadio il baule vuoto che oscurava l'entrata
« entra qui dentro. Vai dritta finché non trovi una diramazione. Prendi la destra e troverai un'entrata identica a questa che conduce nella stanza di mia sorella. Rimani lì fintanto che non vengo a prenderti. Oppure... » guardò in direzione di Veer, facendo intendere che le uniche due scelte vertevano sul nascondersi o il rivelarsi ed affrontare le conseguenze delle loro colpe.

 » guardò in direzione di Veer, facendo intendere che le uniche due scelte vertevano sul nascondersi o il rivelarsi ed affrontare le conseguenze delle loro colpe

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Le Cronache di Meknara - Sangue di DragoWhere stories live. Discover now