12.4 Confessioni

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La notte si era mostrata, diafana e luminosa, assai presto quel pomeriggio

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La notte si era mostrata, diafana e luminosa, assai presto quel pomeriggio. La stagione primaverile si stava chiudendo e l'autunno già raschiava le ore di luce per donarle al buio: in inverno, nell'Ostro, le tenebre troneggiavano per gran parte del giorno ed i pochi raggi di sole che si mostravano, risultavano avviliti e freddi. La neve cadeva silenziosa ed immobilizzava ogni gesto, attività od emozione umana. Era come se lo scorrere del tempo si arrestasse e le persone si tramutassero nel ghiaccio sterile che le circondava. Tornèt non dava tregua, quando giungeva; il pallido cavaliere, sul dorso del muto e glaciale destriero, gettava la vita in un turbine di stenti inutili e sofferenze inenarrabili. Soltanto chi venerava con più ardore veniva risparmiato, scaldato dalla fiamma perenne dei Celesti. O perlomeno era questo che Adhara, madre di Maitreya, gli raccontava per costringerlo ad inginocchiarsi innanzi agli dei. Con la sua morte, il sovrano non si era più piegato innanzi a nessuno. Era futile abbassare il capo, mesti, davanti alla potenza distruttiva dei Celesti, sperando nel loro intervento in cambio di un favore terreno. Essi non desideravano fedeli incalliti, prostrati costantemente a chiedere aiuto per dissipare la propria inettitudine a vivere; prediligevano i cuori impavidi, capaci di governare se stessi e tanto arditi dal condurre un'esistenza solo osservandoli dal basso della loro posizione. Era per questa loro predilezione, che avevano risparmiato dalla morte Elnath e Caswallan durante la Refestghà. Avevano mosso guerra contro il cielo, era vero, avevano peccato di una tracotanza mai vista prima, anche questo era vero; ma l'avevano fatto dimostrando coraggio, forza d'animo e determinazione invidiabili. E niente poteva compiacere maggiormente gli dei, dell'osservare le proprie creazioni raggiungere livelli di consapevolezza tali da credere di poterli battere. Era quella la prova più evidente della loro ascendenza divina: il sapere di non essere inferiori a niente e nessuno. Ed era quella prova che permetteva di discernere tra uomini e vermi, che dava il permesso ai migliori di elevarsi al di sopra del popolino.
I deboli periscano, i forti s'innalzino.
Quella frase attraversò la mente di Maitreya, e per un attimo fu tentato di ripercorrere i propri passi, posare nuovamente al proprio posto il Lhuryll e tornare da Vissia ed Arian con una semplice brocca di vino tra le mani. Si arrestò in prossimità della porta aperta, oltre la quale lo stavano aspettando; abbassò lo sguardo, colpevole, sulla bottiglia colma di vino arancione e, con un'alzata di spalle, scacciò ogni dubbio. Per quella sera, e solo per quella sera, avrebbe accantonato la dignità ed il decoro imposto dalla posizione che ricopriva. Avrebbe bevuto, e l'avrebbe fatto in grande.
« Sembra spremuta » fu il primo commento di Vissia, la quale avvicinò il calice al naso per assaporare con l'olfatto il dolce aroma che quella bevanda sprigionava « solo più profumata. » concluse, già intenta ad accostare il liquido alle labbra.
« Sta ferma! Questo non ha niente a che fare con le arance, credimi. » Maitreya la fermò in tempo, costringendola ad abbassare il braccio fintanto che la coppa non tornò poggiata sul tavolo. Le fece lasciare la presa attorno ad essa e la accolse nel suo palmo « E per di più il Lhuryll senza miele... » il sovrano storse la bocca « il limone è dolce a confronto. » disse, senza mai distendere le labbra arricciate. Si proferì poi in un attacco al contenitore intarsiato in cui giaceva, giallo e viscoso, il nettare lavorato. Ne versò una grossa quantità nel bicchiere di Vissia e lo stesso fece con quello destinato a se stesso e ad Arian. Si assicurò che il tutto fosse perfettamente amalgamato ed allungò per la seconda volta il vino ai due ospiti. Entrambi rimasero ad osservare in silenzio i calici, colmi fino all'orlo, che si ergevano innanzi alle loro facce perplesse.
« Bevi, avanti. Ed anche tu, Arian. Questo è l'oro dei vini. » li invitò, con una strana luce a rischiarargli le iridi scure che Vissia non si seppe spiegare. L'affabile, ben disposta ed amichevole persona che aveva davanti, poteva essere chiunque ma non Maitreya. Già quel pomeriggio l'aveva lasciata senza parole per la disponibilità che aveva mostrato nei suoi confronti, sia confessandole tutto ciò che le aveva detto sia insegnandole i rudimenti della raffinata arte del tiro con l'arco, ma così era davvero troppo, troppo gentile e trattabile. Qualcosa non stava andando per il verso giusto, Vissia lo sentì sotto la pelle, tirarle i nervi e graffiarle i muscoli per farsi sentire.
« Papà dice che non devo bere vino. » sentenziò Arian, ancora con gli occhi desiderosi puntati sul Lhuryll.
« Papà non è qui a vietarti di fare niente. E Veer non lo verrà mai a sapere, perchè noi non glielo diremo » rispose di rimando Maitreya, gesticolando convulsamente con la mano libera. L'altra era artigliata attorno allo stelo del calice e non sembrava intenzionata ad allontanarsi dalla sua posizione. Che volesse ubriacarsi sul serio? Vissia non ne fu tanto sorpresa, la conversazione che avevano intrattenuto le aveva rivelato quanto in realtà l'inscalfibile sovrano stesse peggio di molti altri. Ed un'opaca reminescenza le suggeriva che, da dove veniva, bere per dimenticare non era poi tanto inusuale. Quindi perchè non poteva essere lo stesso anche lì, a Menastir?
« Hai intenzione di farlo invecchiare ancora qualche anno? » Maitreya scosse la ragazza dalle proprie elucubrazioni, un'aria di pura estasi dipinta tra i solchi del sorriso tirato « Ti assicuro che è già perfetto così. Quel bastardo di mio padre lo teneva nascosto da decenni, in attesa di trovare un motivo per aprirlo. Peccato non lo abbia mai avuto, un motivo. Skhol! » affondò la vista nel liquido aranciato e, alzandolo in direzione di Vissia per brindare, lo lasciò scivolare tutto in gola.
« Ha effetti... » la ragazza tentennò prima di proseguire, insicura se soffocare o meno l'entusiasmo di Maitreya « indesiderati, per caso? »
« Basta non deviare nell'eccesso. Le allucinazioni vengono solo in casi particolari. Fai come lui, ha capito tutto della vita. » indicò Arian, intento a perlustrarsi attorno per controllare che non ci fosse nessuno a dirgli di smetterla. Poi, quando si era accertato per l'ennesima volta che no, Veer non sarebbe sopraggiunto di soppiatto alle sue spalle, si allungava verso il bicchiere ed inumidiva le labbra. Il visino tondo e paffuto, gli occhi grandi e chiari, entrambi macchiati di bischera contentezza.
Vissia fu sul punto di lasciarsi andare all'atmosfera rarefatta e leggera della sala da pranzo, ma un urlo le perforò le orecchie poco dopo la decisione presa, attraversandole tutta la testa come una lancia.
« Ancora! » Maitreya battè il palmo aperto sul tavolo, facendo traballare qualunque cosa vi fosse poggiata sopra, e non attese oltre a riempirsi la coppa per la seconda bevuta. Annegò un altro quantitativo abnorme di miele nel Lhuryll e non si fece scrupoli nel berlo tutto d'un fiato. Un'altra volta.
Vissia si fece coraggio, accostò la bocca al filo del calice ed un'aroma lievemente acidulo le scese in gola, insieme al dolciastro eccessivo del miele. Effettivamente, quel vino non aveva nulla a che vedere con ciò che si aspettava di gustare. Era assai meglio di quanto avesse immaginato, ricordava alla lontana la crostata con la marmellata di arance. Quella che lei sapeva fare così bene.
« Skhol! » sentì di nuovo ululare Maitreya e nel contempo lo vide protendersi verso di lei per riempirle il bicchiere non ancora completamente vuoto. Lui doveva essere al quarto, o al quinto, ragionò Vissia, osservandogli le guance ricoperte di barba arrossarsi sempre di più.
« Meno male che dovevamo andarci piano. » si lasciò sfuggire, la lingua sciolta dall'usuale nodo grazie all'ebbrezza che sentiva spandersi in corpo. Non si pentì di quanto detto, l'espressione che il Rekkar le rivolse la fece piuttosto esplodere in una genuina risata.
« Ho detto a voi, di andarci piano. Il mio obiettivo sono le allucinazioni. Ancora! » guaì, stavolta attaccandosi direttamente alla bottiglia per trangugiare il vino più velocemente. Vissia rimase immobilizzata nel guardarlo mentre perdeva ogni briciolo di rigidità e compostezza che l'aveva fino a quell'istante caratterizzato. Poi rivolse una rapida occhiata ad Arian e lo vide scivolare lentamente, ma inesorabilmente, sul pavimento. Gli occhi stralunati e la faccia rossa come una fragola matura: la sua coppa era ormai vuota. Vissia non potè trattenersi dall'esibirsi in una nuova risata, più sguaiata della precedente. Decise che era arrivato il momento anche per lei di elevarsi al di sopra della realtà e, trattenendo il respiro, vuotò il contenuto del suo calice. Attese che il Lhuryll le facesse effetto, liberandola anche dell'ultimo strato di imbarazzo e dubbio che permaneva ad appesantirle l'animo e si gettò a peso morto sul ripiano del tavolo. Un unico intento nella testa, quello di raggiungere la bottiglia ed unirsi a Maitreya per finirla.
« Dammela! » trillò, dimenando le braccia nel vuoto per cercare di afferrarla dalla salda presa del sovrano che, nel tentativo di sfuggire all'attacco della ragazza, si era alzato in piedi sulla panca « stai esagerando, te ne rendi conto? Condividi! » squittì ancora, ergendosi sui propri piedi, a loro volta sostenuti dal legno della tavola. Si mise perfino sulle punte, nella vana speranza di sovrastare l'altezza spropositata del re e conquistare il suo obiettivo, ma solo quando egli decise di lasciarla favorire riuscì a prendere possesso del vino. Se non avesse voluto, probabilmente non l'avrebbe mai afferrata, nemmeno tirandosi come un serpente.
« Se lo sputi perchè ti fa schifo, te lo faccio leccare da terra. Siine consapevole. » l'ammonì, porgendole la bevanda e lottando strenuamente per non cadere all'indietro e frantumarsi sulla pietra della pavimentazione. Riacquistato un minimo di equilibrio, salì anch'egli allo stesso livello di Vissia e si sporse oltre il bordo per guardare dove fosse finito Arian. Lo trovò disteso a pancia all'aria, gambe e braccia divaricate, la bocca distorta in un sorriso ebete ed il rossore ad invadergli anche la pelle del collo.
« Veer questa volta mi uccide. » commentò fissandolo, tentando di rimanere serio nonostante la ragazza al suo fianco gli rendesse il compito assai arduo. Ad ogni sorsata si esprimeva in eloquenti espressioni facciali, che variavano dal disgusto puro a veri e propri conati. Eppure non sembrava volersi arrendere ed ogni goccia che le sfiorava la bocca, puntualmente veniva ingerita. Tenace. Fu il solo pensiero che riuscì ad articolare.
« L'importante è che non sia morto. » lo rassicurò Vissia, restituendogli la bottiglia e cercando vanamente dell'acqua per liberarsi dall'acido rimastole incastrato nelle gengive. Si abbassò sgraziatamente, tastando per tutto il tavolo e controllando in ogni brocca e bicchiere, ma non trovò nulla che facesse al caso suo. Probabilmente avevano rovesciato ogni goccia d'acqua presente nella sala, non si erano posti il problema di evitare le vettovaglie nella loro scalata e questo era quanto. Adesso non poteva che sopportare quel leggero fastidio, presto nemmeno ci avrebbe fatto più caso. Bastava solo aspettare.
« Credi che lasciarlo qui sia da incoscienti? » le chiese, rivolgendole un'occhiata stralunata, opacizzata dagli effetti del Lhuryll che gli si stava spandendo in corpo.
« Sarebbe meglio di no, deduco. » Vissia alzò le spalle e con una risatina chiuse la questione, riportando i piedi a terra con non poca fatica; non solo a causa degli effetti del vino, anzi, soprattutto per colpa della mole del vestito che ancora aveva indosso. Il contatto con il suolo la lasciò momentaneamente stordita, tanto che dovette chiudere gli occhi e tenersi la testa fra le mani per non ritrovarsi disgraziatamente seduta a terra. Forse aveva esagerato, forse non avrebbe dovuto farlo, forse si era lasciata andare nel luogo meno propizio dell'universo per ubriacarsi, ma ormai l'aveva fatto. Tanto valeva che, perlomeno, riuscisse a godersi il momento. Riaprì gli occhi, lottando per mettere a fuoco la stanza, e ciò che vide fu Maitreya, barcollante eppure con la bottiglia stretta tra le dita, dirigersi verso la porta. Che cosa diamine voleva fare?

 Che cosa diamine voleva fare?

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Le Cronache di Meknara - Sangue di DragoWhere stories live. Discover now