10.3 Decisioni

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La pelliccia bruna gli avvolgeva le spalle, ricadendo molle per tutta la schiena e mischiandosi con le ciocche di capelli spettinate dal vento freddo che spirava attraverso le aperture del passaggio tra una torre e l'altra

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La pelliccia bruna gli avvolgeva le spalle, ricadendo molle per tutta la schiena e mischiandosi con le ciocche di capelli spettinate dal vento freddo che spirava attraverso le aperture del passaggio tra una torre e l'altra. Mothalthin era intento a scrutare i tetti delle abitazioni ricche e curate che si accostavano alla fortezza ed i loro proprietari, che animavano le strade dentro le mura di Menastir. Dalla sua posizione riusciva a vedere il mastio più possente dell'intera fortificazione, chiamato il Baluardo delle Falene perchè era l'unico dei sei ad essere illuminato sia di giorno che di notte. Consentiva una visuale massima, fin quasi la fine della cittadina fuori dalle mura, e per secoli aveva permesso alla sua Dinastia di intravedere gli attacchi ancora prima che avvenissero, grazie alla sua altezza, che superava di non poco quella delle pareti di pietra dalle quali s'innalzava, ed alla posizione strategica in cui sostava, vigoroso come un ceppo millenario. Aveva potuto godere della vista mozzafiato che si dilatava dalla cima solo una volta, quando suo padre lo aveva accompagnato per mostrargli ciò che un giorno avrebbe posseduto. Ricordava quanto, nel profondo, si fosse sentito orgoglioso di poter diventare il degno successore del genitore. Ma era solo un bambino, all'epoca, un bambino inconsapevole dei doveri a cui il potere ti lega e scostante verso la religione. L'opposto della personalità che pochi anni dopo sarebbe emersa.
« Fatti riconoscere, te lo auguro. Così altri moriranno per causa tua. » Maitreya gli passò affianco a poca distanza, solcando la pavimentazione con falcate lunghe e regolari. Parve non volergli neppure rivolgere uno sguardo, almeno fino a che non raggiunse l'entrata della torre successiva, dove si voltò, tornò sui suoi passi e si fermò accanto a Mothalthin, così vicino da sentire il respiro del fratello condensarsi nella brezza.
« Vuoi continuare ad odiarmi per qualcosa che non ho mai voluto? » lo rimproverò, rivolgendo l'attenzione al sovrano che si era sporto a sua volta oltre una fenditura, ammirando la propria terra « Non porterà a nulla quest'odio. »
« Ti ho odiato, ti odio e ti odierò vanamente fino alla fine dei miei giorni. È stata solo colpa tua, della tua incapacità di ribellarti e farti detestare. Mothalthin, il figlio buono, giusto, controllato, amato dai Celesti e dagli uomini, ragionevole e generoso. Il sovrano perfetto, il figlio prediletto, il marito ideale. La benedizione forzata della nostra famiglia maledetta. Il solo ed unico animo puro nella sozzura dei nostri avi. E colui che ha permesso la morte di nostra sorella. Ma questo non lo dice mai nessuno. » Maitreya socchiuse le palpebre, riducendo gli occhi a due fessure rigurgianti astio e malevolente beffardaggine. Tentava inutilmente di ignorare il ritorno non voluto del primogenito giorno dopo giorno, eppure sembrava che il destino lo perseguitasse, facendolo puntualmente cozzare contro l'ultima persona che desiderasse incontrare. E più il tempo scorreva, più scorgeva Mothalthin riacquistare vigore, coraggio e vitalità. Poco a poco si stava assottigliando la linea che per otto anni lo aveva costretto sotto i piedi di Maitreya e tutto questo non faceva che alimentare un'ostilità già di per sé scottante.
« Non l'ho uccisa io Gaverna! » gridò all'improvviso, esausto dal sentirsi ripetere continuamente la solita accusa e stremato dall'inarrestabile istinto di Maitreya del fargli agognare la morte « non è colpa mia se tu non hai saputo reprimere i tuoi impulsi sentimentali. Ora, ti atteggi come se non potessi essere scalfito. Una volta non sapevi nemmeno resistere ad un amore mortale. Tu hai ucciso la donna che amavi! » l'accusa si disperse nella vastità del panorama ed il silenzio calò come una ghigliottina tra i due fratelli. Mothalthin lottò per non sciogliere il contatto visivo che si era creato, se avesse guardato altrove Maitreya avrebbe ottenuto la certezza che lui ancora lo temeva. Ed era vero, aveva visto e provato cosa il minore fosse in grado di compiere e solo un folle, dopo esser stato nelle sue condizioni, non avrebbe avuto paura. Ma questo non doveva darlo a vedere, o sarebbe stato impossibile riappropriarsi della sua esistenza e viverla in piena libertà.
« Sei stato tu a dire a nostro padre della relazione che portavamo avanti. Non riuscivi a sopportare l'idea che lei amasse me invece di te. » sibilò, trattenendosi a stento dal conficcargli una lama nello stomaco e tirarglielo fuori con le sue stesse mani. Dovevano parlare, di questo Maitreya ne era conscio, e quella era l'occasione per farlo definitivamente.
« Perchè avrei dovuto dirglielo? Non ho mai voluto sposare Gaverna, te l'ho detto, sono stato costretto. Non l'ho mai amata, le volevo bene in quanto sorella, niente di più. Nostro padre mi ha minacciato di ucciderla se non l'avessi presa in matrimonio. Non tollerava il tuo attaccamento alla sua unica figlia femmina. »

La preferisco morta che tra le braccia di tuo fratello.

Snocciolò quelle confessioni tutto d'un fiato. Non era mai riuscito a farlo veramente, Maitreya non glielo aveva concesso, non aveva voluto ascoltarlo. Non aveva dato peso alle parole che lui gli ripeteva tra le grida di strazio e le suppliche, per lui contavano quanto le bugie di un ladro incallito colto sul fatto; era convinto che tutto ciò che Mothalthin gli avesse rivelato sotto tortura fosse falso, uno squallido tentativo di salvarsi la pelle, una nenia di infide ed ingiuste menzogne atte a placare la sua ira legittima. Non aveva mai dato una singola possibilità, nè a lui nè a se stesso, di smascherare la crudeltà su cui Kuhrah aveva costruito le nozze dei due figli. Semplicemente si era lasciato stritolare dalla presa dell'iracondia ed abbozzato una versione che non rispecchiava affatto la realtà. Era stato più semplice credere alle proprie elucubrazioni piuttosto che domandare spiegazioni e così Mothalthin aveva assunto la parte del capro espiatorio. Il colpevole ingiusto di una serie di conseguenze che non erano nemmeno iniziate da lui.
Eppure in quel momento, all'aria aperta e con i polsi liberi dalle catene, Mothalthin dava l'impressione che stesse dicendo la verità. Non avrebbe avuto motivo di mentire, non più. Era stato liberato, dopotutto. Cosa avrebbe guadagnato nell'interpretare ancora il ruolo del bugiardo? Maitreya cominciò a dubitare delle proprie certezze.
« Sapevi solo tu della nostra relazione. Eri solo tu a conoscere dove, quando e se ci vedevamo. » un guizzo nelle iridi del sovrano lasciò intendere che fosse disposto ad ascoltare. Il dubbio si era andato insinuando tra le tempie, lacerandogliele. Se veramente Mothalthin non avesse avuto colpa? Le fondamenta che avevano sostenuto l'edificio di rancore e risentimento sarebbero crollate, schiacciando il loro stesso costruttore.
« Non ero l'unico. Non sono mai stato l'unico. » il maggiore si strinse nella pelliccia, insicuro se dire tutta la verità o meno. Sperava che Maitreya capisse da sé, a chi si riferisse; non voleva essere la vera causa di una morte.
« Mihir. » le labbra del re si schiusero appena e lasciarono sfuggire un filo di voce, rotto per la spiacevole sorpresa. Le barriere che si era costruito tutt'attorno crollarono sotto le possenti sollecitazioni della verità e vide le iridi del fratello annuvolarsi. Era stato Mihir, non Mothalthin, a spifferare al defunto Rekkar che Gaverna e Maitreya continuavano ad amarsi a discapito del matrimonio, era stato Mihir a fornire le prove della loro relazione, era stato Mihir ad indurre Kuhrah ad avvelenare la sua unica figlia. Mothalthin non c'entrava niente, era stato risucchiato nel vortice per sfortuna ed aveva pagato tutti gli errori che altri avevano commesso al suo posto. Era la vittima innocente di una sorte irragionevole.
Maitreya sfilò la propria spada dal fodero e la tirò in terra, ai piedi di Mothalthin, lo guardò in viso con una scintilla di disperazione ad incurvare le folte sopracciglia e cadde sulle ginocchia a peso morto. Non trovava più una ragione per vivere, i suoi sentimenti si erano dissolti come legna da ardere, la loro cenere gli rendeva il respiro affannato ed arrossava la vista, il cuore gli martellava in petto e scalpitava per implodere su se stesso. Voleva morire. Per più di dieci anni si era basato su un rancore fasullo, dettato da un servitore troppo scaltro per essere portato allo scoperto che si era dato piacere nel rovinare la vita dei due figli maggiori del sovrano, aizzandoli l'uno contro l'altro a proprio comando. E Maitreya non se ne era accorto, gli aveva concesso fiducia come uno stupido sempliciotto e permesso che tenesse tra le proprie sudice mani le redini dell'esistenza sua e di Mothalthin. Si vergognava di se stesso, di tutto ciò che avesse fatto subire al fratello e di quanto invece avesse concesso a chi non si meritava altro che dolore.
« Dovresti odiarmi. » il sovrano non riuscì più a sostenere il peso degli occhi marroni che lo guardavano così limpidi e puri, nascose il volto tra le mani insanguinate e si sentì ancor più colpevole. Iniziò a piangere, facendo sgorgare pesanti lacrime che ripulirono i palmi dal sangue di Serhatan, in un gesto simbolico di rinascita e purificazione. 

 

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Le Cronache di Meknara - Sangue di DragoWhere stories live. Discover now