9.3 Ritorni

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« Non odiarlo per ciò che ha fatto, Cass

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« Non odiarlo per ciò che ha fatto, Cass. L'odio ti consuma inutilmente. »
Nueeq parve dare quel consiglio più a se stessa, disperdendo lo sguardo nelle mattonelle della pavimentazione che si dilungavano come le squame di un rettile innanzi l'entrata della camera da letto del re. Una porta larga, squadrata, non molto alta, con rivoli di metallo prezioso fatti indurire negli intarsi intagliati nel legno dell'imposta, i quali donavano un aspetto regale ed elegante all'entrata della stanza.
« Non v'è stato giorno in cui lo abbia odiato. » il ragazzo prese coraggio, rivolse un ultimo sguardo alla madre e si avvicinò al minuzioso lavoro d'artigianato per farsi aprire dall'unica guardia in armatura che ne faceva da custode. Sentì gli occhi dell'uomo tastare la sua imperfezione, nonostante si intravedessero appena sotto l'elmo scuro, rovinato dall'uso eccessivo che doveva averne fatto. Lo fece entrare accennando un inchino malvoluto ma costretto dalla sua posizione: chiunque potesse entrare a parlare con il reggente morente, non poteva essere affatto uno sprovveduto qualunque, e dunque meritava riverenza, nonostante l'ignominia impressa sul corpo.
L'interno delle quattro pareti risultò estraneo a Cassivellanus, sembravano trascorsi più anni di quanti non fossero stati realmente; ogni oggetto posizionato nei suoi ricordi pareva esser stato spostato, eliminato o sostituito, lasciando un ambiente spoglio, pregno dell'odore di morte esattamente come suo padre. Era immerso in un groviglio di cuscini e coperte, la chioma bionda striata di bianco inabissata nelle lenzuola suggeriva l'età non più giovane del sovrano e la pelle sudata, unita agli occhi chiusi che tremavano appena, dimostrava quanto la malattia lo stesse divorando pezzo dopo pezzo. La barba riccia copriva solo in parte le labbra screpolate ed il pallore del corpo stremato. Gli si avvicinò, facendo attenzione a non rompere la quiete che aleggiava spessa in ogni angolo della camera, tiepidamente rischiarata dalla luce che penetrava rada dalle piccole finestre. Un camino si stava estinguendo nella parete opposta al letto e delle sedute scomode erano riunite in corteo intorno al capezzale, segno che periodicamente qualcuno vi prendeva posto e trascorreva del tempo ad osservare il grande Ermosed spegnersi lentamente. Cass si sedette sulla sedia più prossima a suo padre, per poterlo guardare meglio, ed intravide i solchi della vecchiaia sul volto tirato, sofferente. Fu tentato di prendere una mano dell'uomo tra le sue, ma un movimento inaspettato lo fece desistere e tirare indietro, quasi potesse nascondersi dagli occhi del re. Le palpebre si alzarono e delle iridi giallastre, tipiche delle Manticore, si incastrarono tra le sue, immobilizzandolo più di una catena stretta intorno al collo.
« Sei qui. » parlò piano, scandendo lettera per lettera ed inumidendosi le labbra secche
« Credevo non saresti venuto. » una nota di sorpresa nella voce invitò Cass a protendersi nuovamente verso il letto, concedendo al suo interlocutore di vederlo per intero, con solo i lunghi capelli scarmigliati a proteggergli parte del viso.
« Saresti stato un dono, se solo i Celesti non avessero voluto punirmi. » alzò il palmo per sfiorargli una guancia ma lo lasciò cadere prima di toccarla, stremato dalla lotta interiore del corpo contro la febbre e la debolezza.
« Perchè avrebbero dovuto punirvi? » Cassivellanus bisbigliò la frase e si pentì d'averla detta subito dopo averla conclusa. Era una domanda ragionevole da fare, ad un genitore in procinto di morire che per di più non vedeva da quasi quindici anni? Eppure qualcosa l'aveva spinto a chiederglielo, come se la risposta avrebbe potuto alleviare l'amara consapevolezza d'avere avanti e dietro di sé una vita basata sui pregiudizi.
« Ho compiuto scelte sbagliate. Allontanarti è stata una di queste. Devi perdonarmi, ho bisogno del tuo perdono per morire. » uno spasimo fece in modo che le ultime parole fossero pronunciate più marcatamente delle altre e colpissero in piena faccia il figlio, il quale sbarrò gli occhi, colto alla sprovvista con quell'affermazione così soffice da risultare sbagliata nella durezza che aveva sempre accostato al padre.
« Il mio perdono. » sembrò tastare la consistenza della richiesta, dimenticando per un attimo dove si trovasse e soprattutto con chi. Aveva immaginato di rivedere l'uomo che per lungo tempo l'aveva ripugnato e di dover essere trattato alla stregua di un animale, si era prefigurato in testa la cattiveria e l'odio che suo padre era stato solito tenere nei suoi confronti, aveva in un qual modo accettato l'inevitabile disprezzo che puntualmente affilava i pensieri di chi l'osservasse. Mai si sarebbe aspettato di udire parole così dolci e benevole, biascicate da un Rekkar che per tutto il suo regno non aveva conosciuto bontà, amore né tantomeno perdono. Eppure la morte stava compiendo il suo prodigio, mostrando al morente ogni dettaglio della sua sconsiderata vita, facendolo vergognare e pentire senza possibilità di porre rimedio ai propri errori. Una tortura assai peggiore d'ogni altra, che non lascia via d'uscita se non attraverso gli ultimi gesti: un'esistenza di scelleratezze può davvero redimersi negli ultimi istanti?
« Ti perdono. » la frase gli uscì naturale, come le lacrime calde dagli occhi.
Ermosed allora trovò il coraggio e la forza d'avvicinare a sé il figlio, carezzando la sua nuca con una mano e stringendogli le spalle con il braccio libero. Fu così vicino a lasciar sgorgare indisturbato il proprio dolore che, quando la porta si spalancò rumorosamente, una sottile goccia salata scivolò muta tra gl'incavi delle rughe ed un velo di pianto si posò dietro le palpebre semiaperte. Baciò la guancia di Cass, cogliendo con la bocca arida le sue lacrime, ed infine lo liberò dall'abbraccio. L'unico che il suo erede avesse mai ricevuto da lui in ventun'anni.
Dall'entrata fece capolino un giovane che aveva tutto l'aspetto di ricoprire un ruolo di rilievo. La veste indossata era lunga fino alle caviglie, nera, bordata di bianco e con bottoni del medesimo colore, lasciava intravedere la punta delle poulaine di cuoio marrone d'ottima fattura. I capelli erano della stessa tonalità della fitta nebbia che aveva accompagnato l'arrivo di Cassivellanus ed erano raccolti in una coda stretta sopra la testa che gli raggiugeva il bacino. Al collo portava il ciondolo della Fenice, simbolo dei Grandi Sapienti, ed in mano teneva un calice trasparente pieno di un liquido bluastro.
« Vattene. Ti ho detto che non voglio essere curato, voglio morire. » Ermosed si lamentò, corrucciando il volto e tentando di mettersi a sedere per avere un aspetto più rispettabile.
« Vi ho detto e ripetuto che non potevo lasciarvi morire. Ma oggi non sono qui per allontanare le vostre pene. Le voglio definitivamente mettere a tacere. » il nuovo arrivato s'accostò anch'egli al capezzale e nel farlo rivolse a Cass un'occhiata che tanto bastò per lasciarlo colmo di domande. La saggezza di un vecchio che danzava tra le pupille nere e le iridi grigiastre tradiva la giovinezza del corpo, che si sviliva fino a sembrare una farsa, un'illusione. La presenza di Almashan era vistosa, graffiante e rivestita da uno strato di ammaliante segretezza, una presenza che certamente non riusciva a passare inosservata.
« Lasciami solo con mio figlio, non voglio il tuo aiuto. » il sovrano rinnovò i lamenti ma l'interessato non lo stette a sentire, gli porse il calice.
« Godhýr attende la vostra salma. Bevete. » gli sussurrò, non sufficientemente piano da escludere Cass dalla conversazione « Potete morire in pace, ora. »
L'espressione del re ad una tale affermazione si tramutò quasi istantaneamente, distendendosi ed acquistando un accenno di gioia. Allungò le braccia per afferrare la propria liberazione e nemmeno attese di conoscere ciò che quella bevanda avrebbe causato, sapeva solo che sarebbe stata la fine di tutti quei giorni d'agonia e tanto bastava per agognarla come un meritato trofeo. Aveva dovuto sopportare il proprio deperimento per settimane, perdendo lucidità e guadagnando sensi di colpa, la malattia sconosciuta che si era attorcigliata come una serpe intorno al suo ventre gli aveva concesso l'onore di pentirsi e forse, quel giorno, era perfino riuscito a redimere la sua anima dannata. Sorrise, mostrando i tagli sulle labbra tinti di blu scuro e posò la testa sui cuscini, girata verso Cassivellanus, come se quello fosse il suo ultimo ringraziamento per averlo perdonato. Gli occhi si chiusero sommessamente ed il respiro si fece più lento, fino a scomparire dal petto.
« E' morto felice come non lo sia mai stato. » Almashan tastò il polso per assicurarsi che il battito fosse cessato ed infine raddrizzò il capo del Rekkar, alzò le coperte fin le spalle e ricompose i capelli sparsi ed arruffati.
« Non piangete, principe. La morte non deve essere fraintesa. Preoccupatevi per voi stesso, piuttosto. Molti non sanno della vostra esistenza ma altrettanti tramano per porvi fine, questa sera al banchetto in onore di vostro padre non siate così amareggiato da questa perdita da accecarvi. » il giovane si rassettò il fondo della veste scura e si affacciò all'esterno del corridoio, attraverso la porta rimasta aperta, dove Cass si accorse essersi radunata una piccola folla di astanti. Sua madre era davanti a tutti, un fazzoletto alla mano ed un pianto di facciata necessario per celare la propria gioia. Almashan si rivolse a tutti i presenti con un tono solenne
« Inviate le colombe agli otto sovrani rimanenti, scrivete che Ermosed, Rekkar dell'Empireo e diretto discendente di Koban, capostipite delle Manticore, è spirato quest'oggi, lasciando un solo ed unico vero erede: Cassivellanus Anser, figlio legittimo dell'infertile Rakkar Nueeq. »

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Le Cronache di Meknara - Sangue di DragoWo Geschichten leben. Entdecke jetzt