14.5 Legami

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La ragazza s'infilò la sottoveste senza indugi ed a passo incerto si accostò all'interno del mobile: era troppo codarda ed insicura dei suoi sentimenti per riuscire a dare a Veer una spiegazione razionale per la notte trascorsa

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La ragazza s'infilò la sottoveste senza indugi ed a passo incerto si accostò all'interno del mobile: era troppo codarda ed insicura dei suoi sentimenti per riuscire a dare a Veer una spiegazione razionale per la notte trascorsa.
Il buco, perché era un vero e proprio buco scavato tra armadio e parete, risultava angusto e di dimensioni tanto ridotte che dovette abbassarsi sulle ginocchia per entrare. L'interno era buio e freddo, il posto perfetto in cui camminare quasi completamente nuda con un clima duro e gelido come quello dell'Ostro.
« Non vedo niente » si lamentò, gemendo per l'ansia che le iniziava a salire attraverso la spina dorsale, simile ad una vipera velenosa pronta a morderla.
« Le pareti sono tanto strette che se allarghi le braccia le sfiori, conducono in due direzioni e basta. Nel momento in cui si allargano, dirigiti a destra finché non tasti la fine del corridoio. Nell'armadio di Gaverna non c'è alcun impedimento per uscire, non ce n'è più bisogno. So che puoi farcela, Vissia. La paura ti rende più forte » tentò di rassicurarla, prima di lasciarla in preda allo sforzo immane di non urlare completamente da sola, al buio, in un luogo che doveva ormai essere dimora dei peggiori incubi di una donna. Sperava soltanto che sarebbe arrivata al più presto alla luce, senza sbagliare né farsi prendere dallo sconforto. Rientrare lì dentro, per lui, sarebbe stato assai più difficile che per lei. E non soltanto per la grandezza minima di quel passaggio.
Chiuse le ante con il cuore ad ostruirgli la gola, sparpagliò qualche foglio scritto sulla scrivania ed infine, solo dopo essersi accertato di non aver lasciato tracce compromettenti, aprì la porta a Veer e lo invitò ad entrare. Per quella giornata, si era già messo in mezzo ai suoi affari abbastanza, creandogli non pochi ostacoli da aggirare. Confidava che, almeno in quel suo dovergli parlare, non serbasse qualche sgradita sorpresa da pressargli in faccia per risolverla.

 Confidava che, almeno in quel suo dovergli parlare, non serbasse qualche sgradita sorpresa da pressargli in faccia per risolverla

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« Vuoi un aiuto? »
Vissia s'immobilizzò non appena vide una mano delicata sporgersi nella sua direzione. Aveva attraversato quel maledettissimo cunicolo, imposto a se stessa di avanzare a piedi nudi nella polvere, nella terra e nelle ragnatele, di non gemere né arrestarsi perché altrimenti sarebbe stato tutto vano, ed uno sconosciuto aveva rovinato il suo atto di autocontrollo con un singolo gesto.
Imprecò tra i denti, neppure domandandosi chi l'attendesse oltre l'entrata dell'armadio di Gaverna; l'irritazione era tale da non farla preoccupare del volto che avrebbe incontrato, piuttosto di come lo avrebbe affrontato.
Sicuramente non poteva essere Veer. Tanto le bastava per racimolare sufficiente coraggio e mostrarsi apertamente al proprietario di quella mano. Avere Maitreya dalla propria parte, insieme alla sua ira meditabonda, al suo senso di colpa inesistente, al suo ingegno ed astuzia, le conferiva sicurezza e tranquillità. Chiunque l'invadente figura fosse stata, il sovrano non avrebbe avuto molti problemi ad eliminarla ed infossarne la morte.
Vissia realizzò quanto pensato in ritardo, domandandosi come aveva potuto anche solo immaginare uno scenario simile: rimanere a contatto con la cattiveria spietata era più contagioso di una malattia.
« No, faccio da sola » protestò acida, scansando l'innocente questione in malo modo. Si inginocchiò, strisciò dalla pietra al legno ed infine riacquistò posizione eretta. Abbassò lo sguardo sulla sottoveste e poi sui palmi, decise che erano troppo sporchi sia l'uno sia l'altro per tentare di pulirli, e rivolse un'occhiata torva all'intruso, il quale ancora non aveva dato segni di volersi scansare.
Gli occhi di Vissia incontrarono allora una chioma bianca, tenuta legata da un'alta, fluida ed ordinata coda, e per poco non le si staccarono dalle orbite. Si era prefigurata di dover fronteggiare un impiccione, certo, ma di sicuro non aveva l'aspetto etereo di quell'uomo l'immagine che le si era materializzata nella mente.
Le iridi grigie sembravano cariche di tempesta, una cinta di nuvole si addensava al loro interno e la pupilla, un sole nero dai raggi di tenebra, si stagliava nel chiarore generale come ammonimento. Non tutto era luce e chiarore, lì dentro.
« Non sono qui per interessarmi degli affari tuoi, Vissia. Dobbiamo parlare, so chi sei e te lo posso spiegare, se lo desideri. »
Almashan le sorrise, invitandola a sedersi sul limitare del letto, conscio che, quanto stava per dirle, l'avrebbe investita con una tale forza da rischiare di frantumarla. Doveva avere un piano su cui lasciar cadere i pezzi per poi ricomporli, raccoglierli da terra sarebbe stato più difficile e doloroso.
« Come sai il mio nome? » la ragazza avanzò di lato guardinga, strisciando le piante dei piedi sul tappeto e non distogliendo mai lo sguardo. Il Grande Sapiente poteva dire di essere felicemente sorpreso del suo comportamento, si aspettava d'incontrare una ragazzina impaurita, sperduta nei meandri di ricordi introvabili ed incapace di andarvi oltre; evidentemente, la Shàkbara aveva provveduto non solo a purificarla, ma anche a rispolverare l'indole rimasta nascosta fino al suo arrivo nell'Ostro. Maitreya, in ogni caso, doveva aver contribuito notevolmente con le sue parole. Dopotutto, non c'è incoraggiamento migliore di quello donato dalla bocca di un apparente nemico.
« So molte cose, forse troppe. La mia anima è devota ai Celesti, ciò che è loro è anche mio, conoscenze incluse. Tu non sai chi sono, ma lasciami presentare. Chiamami Almashan » le tese una mano e Vissia la strinse di riflesso; le pareva un gesto così scontato, eppure sembrava non lo vedesse da decenni
« So che nel tuo mondo ci si presenta così » sorrise « maora facciamo alla mia maniera. »
Si avvicinò, le prese il polso tra due dita e lo strinse dolcemente.
La ragazza non si tirò indietro questa volta, rimase ferma nella posizione sbigottita che aveva iniziato ad assumere al flusso delle parole di Almashan. Più lui stringeva più le sembrava di conoscerlo, più il suo cuore accelerava e più la caligine nella sua testa svaniva. Era come vedere il cielo rischiararsi all'improvviso, spegnere un incendio ed ammirare il fumo disperdersi nell'aria, gustare il panorama oltre la coltre intricata di rami e sterpi nella quale si era persa fino a quel momento. Adesso scorgeva sul limitare di quella boscaglia il suo passato, un lontano ruscello di memorie al quale sapeva di poter giungere, attraversando la vallata di verde muschio che la divideva da esso.
Vissia tremò, i suoi occhi si chiusero e le lacrime iniziarono a mostrarsi copiose sulle ciglia, diamanti di rugiada carichi di ricordi smarriti, poi ritrovati al pari di amici d'infanzia.
« Ho paura » sussurrò, tenendo le palpebre sigillate, sipari dietro i quali i suoi occhi stavano inscenando un'ultima prova prima del grande spettacolo. Vedeva immagini, scorci di vita, volti noti, udiva segreti bisbigliati alla luna, frasi affettuose lanciate nel vento, parole dense di emozioni lasciate libere di insinuarsi sotto la sua pelle. Aveva la facoltà di nutrirsi di chi era stata, di chi ancora era, di chi poteva nuovamente essere. Emerse dalla coltre nebbiosa il volto di suo fratello, Bastian, in procinto di compiere dieci anni, le mani paffute di bambino e l'innocenza annidata nelle iridi chiare; poi quello di sua madre, il sorriso raggiante di soddisfazione il giorno in cui le aveva rivelato di aver trovato un lavoro; persino quello di suo padre, la tenerezza incastrata tra le sue fossette nel vederla al saggio di musica, muovere le dita sul pianoforte; degli amici che aveva perso negli anni a causa di malintesi scottanti; degli amori infranti che l'avevano fatta soffrire, irretendola sarebbero stati per sempre; dei passanti che le avevano rivolto un sorriso, camminando oltre il vetro trasparente della pasticceria nella quale s'indaffarava a riempire cabaret; di tutte le persone con le quali era stata capace di condividere anche solo un frammento della sua anima.
Il pianto si fece più intenso, i primi lamenti s'insinuarono tra le crepe delle sue labbra ed infine si abbandonò al peso di quelle rivelazioni, accasciandosi su se stessa. Ma Almashan fu più veloce e la sorresse, accostandola al letto e permettendole di poggiarsi sulla sua spalla e piangere, piangere fino all'ultima lacrima rimasta in quel corpo. Minuto, eppure tanto forte e resistente. 

 

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Le Cronache di Meknara - Sangue di DragoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora