14.1 Legami

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Sottili e languidi scaglioni di luce trafiggevano il vetro delle finestre, infrangendosi sulla pallida pavimentazione e sommergendo di chiarore la pelle di coloro che li attraversassero

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Sottili e languidi scaglioni di luce trafiggevano il vetro delle finestre, infrangendosi sulla pallida pavimentazione e sommergendo di chiarore la pelle di coloro che li attraversassero. Il corridoio principale, che correva dritto e ampio come una strada maestra fino alla Sala del Trono, era sgombro di impedimenti e curiosi a differenza della prima volta che Veer si era mostrato a Menastir. Quella mattina, Maitreya non avrebbe lottato per muoversi fino allo scranno e sedervisi sopra; quella mattina, sapeva chi aspettarsi dall'altra parte del massiccio portone ed era consapevole che sarebbe stato un incontro altrettanto importante quello con Cassivellanus.
Aveva faticato ad alzarsi all'alba del nuovo giorno, dopo la nottata trascorsa oppresso da sogni fin troppo lucidi ed allucinazioni tangibilmente reali. Dormire tra le braccia di Vissia non gli aveva risparmiato il tormento che da troppe notti lo perseguitava, ma forse aveva, almeno in parte, alleviato l'opprimente senso di solitudine che non voleva dargli tregua. Con quella ragazza, sola quanto lui, aveva saputo oltrepassare il proprio orgoglio e schiudere segreti rimasti celati così a lungo, da non essere nemmeno ben distinguibili tra le polveri depositate nel suo animo.
Si erano liberati di zavorre onerose da sopportare esclusivamente sulle proprie spalle, avevano condiviso frustrazioni e lamenti, rimorsi e tormenti, comprendendosi a vicenda ed aiutandosi nel silenzio di una sorda impossibilità di miglioramento. I loro gesti non avevano cambiato niente, le loro richieste non erano state ascoltate, le loro grida erano rimaste intrappolate nella gola di ciascuno, eppure Maitreya poteva affermare di stare meglio. Il peso della vita che si era ripresentato a schiacciarlo appena alzatosi, gli pareva meno asfissiante, più tollerabile.
Era persino riuscito a guardare in faccia Asper senza sentirsi troppo colpevole. Il fratello minore non considerava lui l'artefice delle sue pene, ma il sovrano difficoltava a sostenere il suo sguardo per ben altri motivi.
Primo fra tutti, gli era sempre più complicato ed insostenibile nascondere ad Asper la verità su Mothalthin. Lui non sapeva, e per molto tempo Maitreya aveva preferito che non sapesse, intimorito dalla reazione che suo fratello avrebbe manifestato, accecato dal solo pensiero che potesse abbandonarlo. Ma alla luce di quanto fosse emerso dalle labbra del maggiore, non era più totalmente convinto di avere il diritto di celargli il volto della realtà. E così approfittava della sua convalescenza per evitarlo, donandogli solo parte dei suoi pensieri che, giorno e notte, gli ricordavano quanto non stesse dimostrando tutto il bene che intimamente celava verso Asper. Era riuscito persino a far dubitare al minore di non essere importante, tanto perpetrava nel rifuggire la sua presenza. E quella di Mihir, la quale gli ruotava costantemente attorno per assicurarsi che fosse in forma e si stesse rimettendo al meglio, cinguettando lodi per la forza interiore del minore senza nemmeno dubitare di essere stato scoperto.
Mothalthin lo aveva pregato di non fare nulla di avventato, di non scaraventarsi contro il Sapiente di Seconda Generazione e rompergli qualsiasi osso potesse raggiungere, come Maitreya aveva successivamente ammesso di voler fare in sua assenza. Lo aveva pregato di fingere, fingere che tutto fosse ancora come prima, che lui lo odiasse e l'avesse mandato con Veer soltanto per non vederlo; fingere che Mihir fosse innocente, che le sue azioni contro Mothalthin avessero ragione d'esistere. Fingere di avere piena ragione nel torto marcio. E Maitreya avrebbe dovuto farlo, quella mattina, davanti Cassivellanus e Dhoveerdhan. Avrebbe dovuto recitare un ruolo che non gli apparteneva più, avrebbe dovuto indossare una maschera crepata nella speranza che non si frantumasse davanti a tutti.
« Vostra grazia, a ben dire ho visto più persone di quante sarebbero dovute essere » un uomo in arme accelerò il passo, tintinnando nell'acciaio dell'armatura, per affiancare il sovrano prima che facesse il proprio ingresso nel salone.
Aveva seguito i nuovi arrivati dal primo piede che avevano poggiato sulla terra di Menastir all'ultimo che avevano compiuto innanzi al trono vuoto. E, secondo la previsione, dovevano essere in tre anziché quattro come erano infine risultati.
« Non credo che Dhoveerdhan sia tanto stolto da portare a Thora Koshra uomini di sfiducia, Regor » Maitreya rivolse al comandante delle guardie soltanto un'occhiata di circostanza, sfregandosi la barba ormai più lunga del voluto, già esausto per i suoi problemi personali e poco incline ad aggiungervene altri totalmente inutili.
« Signore, spero vogliate ascoltarmi lo stesso, i capelli bianchi non mentono. È uno di loro. Non c'è di che fidarsi di certe razze » asserì, bisbigliando vicino al volto del sovrano affinché nessun altro nei paraggi potesse udirli.
I Grandi Sapienti, appartenenti alla prima ed ormai estinta generazione, avevano sempre avuto il potere di incutere orrore e paura nelle menti più ignoranti. Per molti, essi erano tutti morti da decenni, una razza sterminata tempo or sono per il bene dei regni stessi, ma Regor era tra coloro che ancora dubitavano fossero realmente scomparsi. E dunque, aver visto la lunga coda bianca oscillare in lontananza, era bastato ad infondergli la convinzione che quell'uomo fosse uno di loro e che Maitreya non dovesse avvicinarglisi per la sua sicurezza.
« Vorrei ricordare, a te e agli stupidi come te, che certe razze, o come diamine vuoi chiamarle, un tempo servivano Rekkar e Rakkar assai più fedelmente di tutti voi. Ed ora sparisci, so difendermi anche senza la scorta a seguito » il sovrano fulminò gli occhi ambrati della guardia con i propri, mettendola a tacere con un solo gesto nervoso della mano e proseguendo fin l'entrata della Sala con Regor alle spalle.
Se non fosse stato per la sua attenzione ossessiva ai dettagli che avvenivano all'interno delle mura, Maitreya l'avrebbe eliminato dal suo servizio già da anni. Donare un ruolo di rilievo ad un popolano più riverente e lavoratore degli altri non era stata una mossa facile per lui, ma la necessità di rimpolpare il presidio di guardia dopo lo sterminio dei fedeli di suo padre, lo aveva spinto a cercare anche tra i ceti meno abbienti. Regor era stato l'unico a distinguersi sul serio; capace di utilizzare una spada seppur fosse figlio di artigiani del legno, aveva colpito Maitreya per la sua determinazione ad emergere. Il sovrano non aveva avuto dubbi su chi sarebbe ricaduta la sua scelta, quello che un tempo era stato un ragazzo impertinente e valido, era diventato un nobile guerriero ed un abile spadaccino. Nonostante tutto, però, Regor possedeva ancora il marchio inconfondibile del popolano incallito: propensione a credere alle dicerie, affidamento sulle credenze popolari e pura, nera ignoranza. Nemmeno era in grado di parlare l'Othil. Ma pochi o nessuno, a Thora Koshra, erano in grado di parlarlo, rifletté Maitreya. Quasi tutti, se non effettivamente tutti i suoi servitori, appartenevano a classi di bassa estrazione sociale o nobiltà di nicchia, arricchitasi con il commercio e compratasi un titolo.
Si passò una mano nervosa tra i ricci capelli, rimanendo immobile innanzi il legno ancora chiuso che aspettava solo un suo cenno per essere aperto. Non si era mai sentito così a disagio nell'incontrare sconosciuti, probabilmente perché ben poche volte, da quando era reggente, si era scontrato con altri del suo stesso rango. Cassivellanus poteva anche essere un re novello, un bambino in fasce incapace ed inesperto, ma portava un regno alle spalle ed un esercito che avrebbe fatto da spartiacque nella guerra a venire. Maitreya doveva guadagnare la sua fiducia ed il suo favore, e per farlo era necessario che si comportasse nobilmente, benevolmente, e fosse anche disposto ad abbassare il capo davanti ai compromessi.
Forse era questa la vera ragione che lo turbava, facendogli tremare le mani e corrucciare i lineamenti: unirsi a qualcuno significava sacrificare parte della propria libertà. Ed era da tanto tempo che lui non sacrificava qualcosa per un bene più grande, era sempre riuscito ad avere due piedi in una scarpa, ottenendo ogni singola cosa desiderasse. Lui, dopotutto, era il Rekkar. I suoi desideri erano ordini, i suoi capricci leggi. Ma, tra la volontà di due sovrani, non ve n'era una superiore all'altra, pena la guerra aperta. Cosa che non sarebbe mai dovuta succedere, non con il re delle Manticore.
Si guardò indietro, riuscendo ancora a scorgere la cappa della guardia svolazzare nella luce rarefatta del mattino, ed infine si rivolse ai due soldati che gestavano ai lati dell'entrata. Fece un cenno d'assenso e sincronicamente gli uomini spalancarono entrambe le ali dell'immenso portone, dischiudendo la Renàrwha in tutto il suo etereo splendore.

 Fece un cenno d'assenso e sincronicamente gli uomini spalancarono entrambe le ali dell'immenso portone, dischiudendo la Renàrwha in tutto il suo etereo splendore

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Le Cronache di Meknara - Sangue di DragoWhere stories live. Discover now