11.2 Accordi

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Il Potria Silei era anche conosciuto con il nome di Delubro degli Spiriti Eterni e poteva essere identificato come l'immenso cuore pulsante dei Celesti in terra, così bianco e splendente tra le rocce scure sulle quali sorgeva, da riuscire ad allon...

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Il Potria Silei era anche conosciuto con il nome di Delubro degli Spiriti Eterni e poteva essere identificato come l'immenso cuore pulsante dei Celesti in terra, così bianco e splendente tra le rocce scure sulle quali sorgeva, da riuscire ad allontanare dalle proprie mura la stessa nebbia che perennemente abbracciava le Morhaves.
Un tortuoso e serpentino sentiero strisciava attraverso la pietra, collegandolo ad Ohlma Koshra mediante un ponte di solida muratura ingrigita. Grigio, un colore che perfettamente mediava tra il nero delle guglie del castello ed il pallore etereo del tempio. Ai lati della via si ergevano grossi bracieri infuocati, sorretti da treppiedi le cui gambe armoniosamente s'intrecciavano in decorazioni spiraleggianti, simboli di vita eterna e perfezione. Sul fuoco, che divampava divorando la legna suo cibo, erano state poste delle ciocche dei canuti capelli di Ermosed, affinchè le fiamme si nutrissero della sua medesima scintilla ed il suo spirito camminasse accanto al corteo funebre che tra di esse si stava facendo strada.
A testa dell'interminabile processione di presenti che stavano per prendere parte al rito funebre, torreggiava il feretro del sovrano. Scolpito in legno, con decori che correvano tutt'intorno all'area raffigurando l'accoglienza nell'Ethrost del Rekkar, e pietre luminose, incastonate per creare gli occhi di coloro che erano stati intagliati. Lapislazzuli per Godhýr, il Dio della Sapienza Eterna e padre di tutti i Celesti, dalle iridi azzurre come il fiordaliso. Ametiste per Ogdasýr, il Dio dell'Ethrost, fratello minore del primo, lo sguardo violetto sempre attento alle azioni dei mortali. Smeraldi per Phalestèr, la Dea della Terra, moglie di Godhýr e madre di tutti i Celesti, dagli occhi verdi come la natura cui è legata. Ed infine rubini a Maelastèr, Dea dell'Amore, moglie di Ogdasýr, dalla vista rossa, medesimo colore del sentimento da lei protetto. Questi erano coloro di fianco cui Ermosed avrebbe vissuto ed i loro figli avrebbero allietato le sue giornate, invitandolo ad aiutarli nel duro ruolo che a ciascuno era stato affidato.
A trasportare il pesante feretro erano quattro possenti uomini, ammantati in armature d'oro e dal viso coperto con una maschera del medesimo metallo, ricalcante le sembianze del loro comandante. Si trattava dei generali che per tutta la loro esistenza erano stati al fianco del defunto, seguendolo in ogni sua scelta ed appoggiandolo nel momento del bisogno. Quattro fedelissimi amici, confidenti silenziosi ed ottimi guerrieri, figure che solo un uomo capace di grandi cose si poteva conquistare in un'unica vita.
Pochi passi più indietro, camminavano Almashan e Cassivellanus, vicino ad essi ci sarebbe dovuta essere anche la Rakkar Nueeq ma ella aveva preferito cammuffarsi tra la miriade di volti ignoti, senza mostrarsi troppo alla vista, a causa delle dicerie dilagate, narranti un tradimento di sangue: una madre che desidera la morte del figlio era considerabile alla stregua del più incallito dei peccatori.
Il Grande Sapiente teneva lo sguardo fisso verso il tempio che pareva protendersi verso i suoi ospiti. Il volto dipinto di rosso e nero, i colori del sangue e della morte, si intrecciavano come un unico tassello indissolubile intorno i suoi occhi, scendendo dritti fino ad attraversare le labbra e risalire oltre gli zigomi, in danze di intrecci e spirali. I capelli bianchi erano sciolti e ricadevano alla stregua di un mantello di purezza intorno alle spalle, già coperte da una spessa pelliccia corvina che contrastava, in un'armonia di perfezione, con la tunica dello stesso colore della chioma lunga, liscia ed estremamente curata. Mentre avanzava, rivolgeva delle occhiate verso Cass: per una volta tanto non era incassato su se stesso, teneva le spalle dritte e nei suoi occhi brillava un indefinito orgoglio. Nessuno dei restanti sette Rekkar si era opposto alla sua ascesa, tutti quanti si erano presentati quel giorno, di persona o con personalità che li incarnassero, accompagnati in molti casi da numerosi membri che avrebbero costituito una massiccia accorrenza ai funerali e, di conseguenza, un ottimo argomento grazie cui lodare l'evento. Eppure Almashan non percepiva la sicurezza che quell'afflusso così massiccio avrebbe dovuto portare, non era per niente persuaso all'idea che tanta approvazione assicurasse stabilità al regno di Cass ed all'Empireo stesso. Avvertiva i regnanti aggirarsi intorno al futuro sovrano come vipere nell'erba alta, sentiva i loro sibili avvicinarsi sempre più pericolosamente a lui, prendendo sufficiente coraggio per attaccare. Non conosceva il motivo per il quale avrebbero agito, ma sapeva che dietro la loro presenza si celava molto altro, un semplice rispetto per il loro compagno defunto non costituiva una giustificazione esauriente. Cassivellanus, al contrario, pareva trarre una forza tutta particolare dai suoi presunti sostenitori. Sulle sue spalle gravava il peso del ricordo sfarzoso del padre durante i primi tempi, tempi invidiabili, quando le razzie sulle coste dei Turul garantivano ricchezza all'intero continente e perire trafitto da frecce e spade era considerato quanto di più nobile si potesse raggiungere. Quando la sua gente lo seguiva come un fedele venera il proprio Dio, ad occhi chiusi e con la speranza a lenire la stanchezza del corpo. Quando sentirsi vivi significava impastare quotidianamente il proprio sangue con l'emozione della vittoria ed il dolore delle ferite atte a mostrare quanto strenuamente ed orgogliosamente ci si fosse battuti. Impressa nella mente, in quei brevi istanti prima di cominciare a salire i gradini e varcare l'ingresso del tempio, aveva l'immagine dell'uomo che Ermosed doveva essere stato. Non il padre odiabile, il sovrano austero o il marito assente, ma il fiero, coraggioso e saggio guerriero, il comandante delle mille vittorie ed il più accanito sostenitore del proprio esercito. Una figura eterea e straordinaria la quale, ne era certo, lo stava ammirando dall'alto dell'Ethrost, appagato dal coraggio che, con l'uso di tutte le sue forze, stava mostrando.
Sulla coda dell'infinita processione torreggiava, distesa su una tavola, anch'essa di legno ed ornata con simboli sacri ai Celesti, la Manticora del possente Ermosed, una bestia eccezionalmente vigorosa anche con gli occhi chiusi ed il respiro mozzato. Era stata la più grande che si fosse vista negli ultimi decenni e per trasportarla erano serviti dieci uomini, cinque per lato, i quali faticavano ad avanzare sotto il suo peso, nonostante il numero ragguardevole. Il pelo focato dell'animale era carezzato dal vento debole e la coda bianca, come quella di Matar, dondolava silenziosamente oltre il bordo del cataletto. Le ali soffici erano addossate al corpo statuario e la folta criniera era stata ricoperta di Larkspur, piccoli fiori di colore azzurro e violetto, sacri al Dio dei Morti, Jahàvyr, che avrebbe accolto con sé la Manticora, prendendosene cura in vista dei giorni in cui Ermosed gli avrebbe fatto visita. Tra di essa ed Almashan si snodavano poi i fiumi di coloro che erano accorsi alla celebrazione, tra cui spiccavano i capelli biondi dei Cani Neri, di cui Kohor faceva parte, e quelli fulvi e ricci degli Alicanti. Tutte le donne vantavano chiome sapientemente intrecciate e decorate da elementi tra i più inusuali. La giovane Alrhai, Rakkar dei Rok, faceva mostra delle proprie trecce brune abbellite da piume argentate e la più adulta Likhane, figlia della Rakkar delle Centicore, aveva posto tra le sinuose onde della sua capigliatura, ciuffi di erba rossa colti nella foresta sacra della sua Dinastia; una tonalità in encomiabile armonia con la carnagione olivastra e gli occhi azzurri come i ruscelli di alta montagna. Alcune delle più anziane avevano preferito coprire il capo con tessuti pregiati e diademi ornamentali. Tra gli uomini, invece, quelli più indietro nell'età indossavano indumenti da combattimento, mentre i più anziani ne sfoggiavano di sobri, soprattutto fatti in cuoio e poco lavorati. I foderi di entrambi erano però vuoti, le armi per quella giornata non sarebbero servite. I Celesti stessi avrebbero preso parte ai riti, vegliando su di loro al posto delle lame; i litigi dovevano essere accantonati, permettendo ai nemici di camminare fianco a fianco come fratelli. Una trasgressione sarebbe stata considerata un sacrilegio e punita di conseguenza, con una morte assai lenta che lasciasse al condannato tutto il tempo di pentirsi.
Almashan giunse infine sul limitare del Potria Silei, attraversò l'arco a sesto acuto che ne delimitava l'inizio, e dopo di lui lo seguirono tutti gli altri, eccetto coloro che stavano trasportando la salma del sovrano. Essi rimasero in attesa dell'arrivo della Manticora, con la quale avrebbero varcato l'entrata in un trionfo di tamburi, i quali già scandivano il camminare lento e costante dei presenti mentre prendevano posto.

 Essi rimasero in attesa dell'arrivo della Manticora, con la quale avrebbero varcato l'entrata in un trionfo di tamburi, i quali già scandivano il camminare lento e costante dei presenti mentre prendevano posto

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Le Cronache di Meknara - Sangue di DragoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora