Sedicesimo Capitolo

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SHINJUKU, APPARTAMENTO DI IZAYA.

UN PAIO DI GIORNI DOPO.

"Te lo puoi scordare!" affermò l'Orihara dal proprio letto, accigliato ed irremovibile, mentre si risistemava le coperte.

"Mio Dio, quanto sei testardo!" ribatté Shinra, sgomento, portando gli occhi al cielo, intanto che risistemava nella valigetta i suoi strumenti da medico.

"Non ti ho ordinato di andare dallo psichiatra, anche se non sarebbe comunque una cattiva idea..."

L'altro lo fulminò con lo sguardo.

"Ti ho soltanto consigliato di iniziare una cura." seguitò, sospirando e risistemandosi gli occhiali.

"Sono psicofarmaci!!! Vuoi che me ne vada in giro come uno zombie???" sbottò l'informatore, alzandosi di scatto a sedere ed indicandoli sprezzante con un dito, oramai non preoccupandosi nemmeno più di nascondere il proprio stato d'animo.

"Ma quale zombie! Non hanno controindicazioni tanto fastidiose, almeno non quelli. Potresti sentire il bisogno di dormire qualche ora in più, ma nient'altro! COME ti ho già ripetuto PIU' VOLTE, sarebbe soltanto per un periodo, mica per tutta la vita. Quest'amico di mio padre è davvero competente in materia, gli ho fatto presente la situazione, senza fare nomi. Almeno prova... Di sicuro non ti risolveranno i problemi, ma, se non altro, il tuo umore si stabilizzerà un pochino!" replicò il giovane dottore, spazientito, allargando le braccia.

Il brunetto sbuffò rumorosamente, spostando lo sguardo a lato, verso la finestra.

"Ci penserò." esclamò seccato, incrociando le braccia.

Nella sua testa, in quel momento, si affollavano una miriade di pensieri e non aveva certo voglia di aggiungervene altri, nonostante fosse consapevole del fatto che l'amico aveva ragione.

"Devo andare adesso." riprese quest'ultimo, riacquistando il suo solito tono pacato ed afferrando la valigetta.

"Riflettici bene! Sarebbe ora che cominciassi ad avere più cura della tua persona, non credi?" concluse, avviandosi verso la porta e salutando con la mano.

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Izaya riaprì gli occhi all'improvviso, sospirando ancora.

Seduto, in pigiama, al tavolo della propria cucina, la quale riprendeva lo stile elegante e moderno di cui era rivestito l'intero appartamento, con le braccia appoggiate sul ripiano in vetro scuro ed una mano a sorreggersi la fronte, osservava, con espressione incolore, la tazzina di fine porcellana di fronte a lui, ricolma di caffè nero, fumante.

Il buon odore della miscela gli solleticava il naso, ma non era riuscito a mandarne giù più di un sorso.

Quella mattina si era risvegliato di nuovo attanagliato dall'esacerbante morsa dei suoi incubi, gridando, nel panico, e tremando violentemente.

Inoltre, come se non bastasse, ancora ansimante e in preda all'angoscia, scostandosi all'improvviso le coperte di dosso in un veloce scatto, aveva agguantato uno dei suoi cellulari nel primo cassetto del comodino, con l'intenzione di chiamare Shizuo.

E quando due secondi dopo aveva realizzato il significato del proprio gesto, in un attimo gli era piombata addosso la reale consapevolezza, fino ad ora in parte sedata a causa della febbre e dello stordimento scaturito dalle ultime vicende, di ciò che il suo pianto scatenato aveva determinato, ovvero, l'emergere sconsiderato e totale di quella sua parte umana tanto odiata.

L'Orihara spostò la mano dalla fronte ai capelli, portandoli indietro ed osservando le nuvolette di vapore che ancora fuoriuscivano dalla tazzina, le quali si andavano poi, in tutta fretta, a dissolvere nell'aria, esattamente come le menzogne con cui si era sempre fatto scudo al fine di ovviare i propri problemi.

BREAKDOWN | by LavrielWhere stories live. Discover now