Ventesimo Capitolo

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Izaya ebbe un colpo di tosse improvviso che lo costrinse a sollevarsi dal divano, su cui si era rannicchiato, ma fu colto immediatamente da un forte capogiro a causa del quale dovette stendersi di nuovo.

Quella mattina, sconvolto dal raccapricciante spettacolo paratoglisi innanzi, era purtroppo rimasto vittima del peggiore attacco di panico di tutta la sua vita.

Livido in volto, aveva iniziato ad indietreggiare, fino a toccare con la schiena la ringhiera in ferro delle scale, mentre i suoi polmoni, spasmodici, si contraevano per l'angoscia.

Le ginocchia gli avevano ceduto e si era accasciato per terra, boccheggiando.

Con molta fatica era tuttavia riuscito a tirar fuori dalla giacca il contenitore delle pastiglie ma ne aveva dovute ingoiare ben cinque per iniziare a sentirsi un po' meglio.

Gli ci erano volute ore per farselo passare.

Dopodiché, traballante, si era trascinato al piano di sotto, per poi accasciarsi nuovamente sul divano in pelle del salotto/studio rimanendovi tutto il giorno, incapace di reagire, o anche solo di muoversi.

Gli immondi e crudeli fantasmi del suo passato avevano colto l'occasione per devastargli ancora la mente, tessendo impietosi, con le loro luride mani, una folle e soffocante tela assassina, nella quale l'avevano subito avvolto, mentre si strofinavano lascivi sul suo povero corpo e gli sussurravano alle orecchie pericolose litanie mortali.

Ucciditi.

Falla finita una volta per tutte.

Vale davvero la pena vivere così?

Che stai aspettando?

Ingoiale tutte quelle pastiglie.

Fallo ora... Ti addormenterai, non te ne accorgerai nemmeno.

"Si... Forse..." aveva mormorato l'Orihara, fissando il contenitore sul tavolino, in trance, come fosse stato ipnotizzato da un perfido mago.

Allungata lentamente una mano verso l'oggetto, si era poi bloccato subito di scatto, sgranando gli occhi e guizzando a sedere all'improvviso, spaventato da un pensiero rivelatosi essere, mai come adesso, tanto concreto, nemmeno quando, il giorno che avevano dimesso sua sorella, si era ritrovato a sporgersi pericolosamente dal cornicione del vecchio palazzo abbandonato, o quando, a causa di quel malore, era stato costretto a sedersi sulla panchina del West Gate Park.

"Ahahah... Ma... Che mi prende... Così all'improvviso?" aveva balbettato, smarrito, ridacchiando nervosamente e tormentandosi il bordo della maglietta.

"Che mal di testa..." aveva poi mormorato, riaccucciandosi sul sofà, inquieto.

La profonda ed oscura voragine nel suo cuore iniziava nuovamente ad ingigantirsi, ancora una volta pronta ad inghiottire la succulenta preda per anni tenuta al laccio.

****************

Si era già fatto buio quando sentì suonare il campanello.

"Chi... Sarà adesso?" mormorò il giovane, sospettoso, mentre, a fatica, tentava di nuovo di alzarsi dal divano.

"Potrei fingere di non essere in casa..." rifletté, serio, percependo, con disappunto, un nuovo principio di panico iniziare ad arrampicarglisi su per la gola.

Tuttavia un'altra forte scampanellata lo distolse dal piano, ed assottigliando lo sguardo, afferrò immediatamente un paio dei suoi coltelli, mentre, guardingo, si avviava verso la porta.

"Chi... è?" domandò subito, spostandosi poi veloce sul muro a lato e tenendosi pronto ad ogni evenienza.

"Oi pulce, sono io!" rispose una voce, dall'altra parte.

BREAKDOWN | by LavrielМесто, где живут истории. Откройте их для себя