#1 Tessa

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Mi passai una mano sulla coscia, il tessuto consumato dei miei pantaloni neri sembrò bruciarmi il palmo.
Mi morsi il labbro inferiore e continuai a far scivolare il mio sguardo sul muro.
Ormai la parete era quasi coperta, articoli di giornale sui suoi avvistamenti, spago rosso che segnava i suoi presunti spostamenti per il mondo sparsi per tutto la vecchia cartina di un atlante, e appunti, milioni dei miei appunti.
Socchiusi gli occhi percorrendo ancora quel filo che si era talmente tante volte incrociato che ora non sembrava nemmeno più qualcosa di separato.
Mi alzai in piedi avvicinandomi al muro, stappai quel pennarello verde e cerchiai il viso di Drake collegandolo alla foto di Ryan, cerchiai poi anche lui e tirai una lunga freccia fino ad arrivare all'articolo del due gennaio, dove diverse persone sostenevano di aver visto un uomo e un ragazzo rubare in un alimentari.
Inclinai la testa verso destra e spostandomi ancora morsi il tappo del pennarello.
«Dove sei?»
Domandai al nulla guardando per l'ennesima volta la cartina consumata davanti a me. L'eco delle mie parole si disperse nella stanza e presto una calda luce sostituì la lampadina opaca illuminando la stanza.
Guardai fuori e sorrisi sentendo il sole baciarmi la pelle, andai a spostare le tende e lasciai che la luce entrasse completamente da quell'alta finestra incastrata nella parete.
L'aurora che svettava imponente al confine della foresta mi ricordava che un altro giorno era cominciato. Strappai il mese di novembre dal calendario e tirai una x sul primo del mese. Sfiorai quel quadrato bianco con il pollice e cercai di non assecondare quel vuoto che dentro mi stava uccidendo.
Ancora un mese e sarebbe stato un anno che Drake mancava. Avevamo raggiunto tutti in pochi giorni la seconda casa di Ryan, perfino Jhona, se con una settimana di ritardo, era tornato. Ma di Drake non c'era traccia, sembrava scomparso nel nulla.
Avevo più volte corso il rischio di espormi per le strade della città per trovarlo, ma niente. I civili erano tornati alla loro vita come fosse successo niente e sugli Angeli il governo si era cucito la bocca.
Presi un respiro e uscì da quella stanza percorrendo il corridoio fino alla larga scala di pietra, scesi i gradini e mi persi a guardare l'eleganza di quell'ampio ingresso.
La porta in legno era spessa e il pavimento sembrava una grande scacchiera di marmo bianca e nera vista dall'alto.
Scesi l'ultimo scalino e girando a destra raggiunsi la cucina.
Aprì la porta che cigolò appena e mi sedetti al tavolo appoggiando le braccia su esso.
Guardai il vuoto chiudendo gli occhi e ascoltando il silenzio che ancora regnava, ma più cercavo di concentrarmi più sentivo il mio corpo invaso da un dolore lacerante.
Tirai un pugno sul tavolo e affondai le dita tra i miei capelli leggeri. Un profumo di shampoo si sostituì per qualche secondo all'odore di arancio che aleggiava nella casa. Phil aveva disseminato i termosifoni delle bucce di quel frutto convinto che potesse rilassare.
Alzai la testa e mi asciugai velocemente le lacrime sentendo dei passi sulle scale.
Decisi di uscire e afferrai il pacchetto di sigarette sul tavolo. Aprì la porta che dava sul retro della casa e chiudendomela alle spalle mi sedetti sul primo scalino.
Tirai fuori dal pacchetto l'accendino e accesi una sigaretta guardandola consumarsi lentamente, ogni tanto uno sbuffo di vento sembrava accelerare il suo corso, ma io mi limitai a sentirne l'odore.
«Consumare le mie sigarette non ti aiuterà a farlo tornare Tessa»
Disse Matt sedendosi accanto a me, io non gli risposi continuando a guardare il fumo spesso e grigio salire verso l'alto.
«Lo so»
Risposi qualche secondo più tardi del dovuto. Riuscivo a sentire il suo respiro calmo accanto al mio e mi chiedevo per quanto ancora saremmo andati avanti così.
«Magari è solo nascosto da qualche altra parte Tessa, sicuramente starà benissimo»
Lasciai cadere la sigaretta sulla ghiaia e allungai le gambe sui due scalini.
«Lo ripeti ogni giorno, ho capito»
Dissi acida alzandomi poi da li, mi ero già stancata di averlo intorno.
Era da diversi mesi ormai che evitavo chiunque a parte Ella in quella casa, perché tutti non facevano altro che ripetermi le stesse cose, inventandosi scuse su scuse senza fare nulla di concreto.
Entrai nella stanza e trovai seduta al tavolo la mia bambina, anche se ora ormai a guardarla, chiunque, avrebbe potuto darle anche sedici anni.
In undici mesi era cresciuta troppo in fretta,
Più si faceva grande più i suoi modi di fare mi ricordavano quelli di suo padre.
Spesso si legava i lunghi capelli in uno chignon disordinato che, liberandole il viso, la faceva sembrare la mia copia leggermente più scura. Anche se il sorriso era quello di Drake.
Passava le sue giornate a studiare con Phil e farsi controllare da Aston ogni volta che avvertiva un dolore, ma spesso era colpa delle ossa che crescevano velocemente.
Ora era alta, non potevo più prenderla in braccio e coccolarla come prima, ma non passava giorno senza che mi chiedesse se avessi trovato Drake.
Si raccolse i capelli e morse un pezzo di brioche guardando attenta l'articolo del giornale che aveva sottomano.
«Già in piedi?»
Lei alzò lo sguardo e mi sorrise sfiorandosi con l'indice l'angolo della bocca sporco di crema.
«Un altro incubo»
Rispose alzando una spalla e abbassando lo sguardo. Un brivido la prese di sorpresa e io mi avvicinai sedendomi accanto a lei, le rubai un pezzo di brioche e lei mi indicò un punto preciso sulla foto stampata.

DnaWhere stories live. Discover now