#41 Tessa

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Ogni tanto l'occhio mi cadeva su di lui, facendomi tornare a galla la nostra prima volta in macchina, era stata più una tortura che un viaggio lo ammetto, eppure ora il mio cuore invidiava quel ricordo.
Era stupido il modo in cui funzionava la mente, più volevo scordarmi di qualcosa più essa mi portava a ricordi che credevo di non avere nemmeno più...
Sorrisi nel vederlo stringere le labbra, i miei occhi in quel momento non poterono non registrare per la seconda volta il suo profilo, il naso dritto, la pelle olivastra, le sue labbra e tutto il resto che rendeva quel ragazzo semplicemente Drake Miller.
Tornai a guardare fuori e sorrisi ad un altro ricordo.
«Manca molto?»
Chiese accelerando, mi guardai intorno e socchiusi gli occhi per capire dove fossimo, indicai una stradina buia e mi portai una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
«Ecco gira qua, poi prosegui dritto, la casa è a venti minuti da qui»
Lui annuì mettendo la freccia e girando a sinistra con tranquillità.

Appena gli indicai la casa e lui fermò l'auto mi sentì più leggera, scesi immediatamente sbattendomi la portiera alle spalle, salì i pochi gradini e bussai velocemente con forza.
«Ora ti mando Jhona e gli altri a darti una mano»
Dissi vedendolo smettere di camminare, aprì la bocca per dire qualcosa, ma non lo sentì, ero praticamente già dentro casa.
Aston alzò un sopracciglio sorpreso, forse di vedermi già di ritorno.
«Ciao, ho Nathan e Ryan sedati in auto puoi occupartene tu?, io ho bisogno di un momento»
Avevo parlato talmente veloce e balbettando quasi ogni parola che avevo stupito perfino me stessa. Il ragazzo annuì e mi lasciò andare senza fare domande, entrai in cucina e pregai di trovare Dylan, Jhona si alzò in piedi e gli altri ragazzi si voltarono.
«Tessa, tutto okay?»
Chiese lui stringendosi la coda, io non gli risposi, ero troppo occupata a guardare Dylan avvicinarsi preoccupato.
«Ehi, sembri sconvolta»
Mi sussurrò all'orecchio, abbassai lo sguardo sentendo ancora una volta la nausea salire, mio fratello mi prese per un braccio e mi trascinò fuori dalla cucina attirando la mia attenzione schioccandomi più volte le dita davanti.
«J! J ci sei?, stai piangendo?»
Domandò quasi stupito della cosa, era assurdo, non riuscivo più a connettere niente.
Mi sentì passare una mano sulla guancia, lui mi fece un cenno e mi trascinò nella seconda sala. Una stanza piccola, nella quale ero entrata solo una volta per prendere un libro, si trovava accanto alla cucina e spesso ci si rintanavano Ella e Phil per studiare.
La porta si chiuse e i due scatti della serratura attirarono la mia attenzione ricatapultandomi nella realtà.
Strinsi il largo bracciolo di pelle della poltrona nella quale ero seduta e aprì appena la bocca come se avessi dovuto dire qualcosa, ma la mia voce era scomparsa, si era bloccata sotto quel groppo che mi si era formato in gola, il cuore mi faceva male da quanto isterico batteva contro la cassa toracica e mi portai una mano alla bocca soffocando un grido orrendo.
«J...»
Dylan si inginocchiò davanti a me, mi prese il polso e mi obbligò a guardarlo negli occhi abbassandomi lentamente il braccio, i suoi occhi scuri mi guardavano confusi, in cerca di risposte che non riuscivo a dargli.
«Non è giusto»
Riuscì a dire infine soffocando un singhiozzo.
«Che cosa non è giusto J?»
Alzai lo sguardo un secondo e poi tornai nei suoi occhi passandomi la lingua sulle labbra, le mie lacrime erano calde e salate, forse il mio viso ora era un disastro, ma non mi importava, ero con Dylan e questo mi aiutava. Ci misi un po' a dargli quella risposta, ma alla fine parlai liberando i miei polmoni da quel peso che li opprimeva.
«Lui non ha idea di chi sia Dylan, non si ricorda chi sono, nemmeno il nome»
Confessai alzando le spalle, leggevo assurdità negli occhi di mio fratello, confusione e anche dispiacere ad un certo punto.
«Di cosa parli?»
Chiese ancora in cerca di conferme, affondai una mano tra i miei capelli e abbassai lo sguardo cercando di calmarmi.
«Ero con Nathan, poi è arrivato Drake, te lo giuro mi sono sentita morire Dylan»
Quasi urlai gesticolando come una matta, lui mi tirò a sé e io scivolai giù dalla poltrona, addosso a lui, tra il suo corpo caldo e il pavimento freddo.
Mi strinse forte e io mi aggrappai a lui come se fosse la mia unica salvezza.
«Drake non sa chi sono, non so come, ma fa male Dylan, voglio morire»
Ancora parole a caso, che poi non facevano altro che essere le stesse, che ripetersi nei miei pensieri almeno quanto non erano già state dette a voce.
«Shhhh»
Mi zittì dolcemente lui cullandomi in quell'abbraccio protettivo, e lo ripeté, due, tre, quattro, cinque e altre volte ancora, finché il mio cuore, insieme al mio respiro e alla mia mente si fecero calmi, quasi assenti.

DnaWhere stories live. Discover now