#39 Ella

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Lasciai andare la maniglia e appoggiai la mano alla porta.
Il mio corpo stava a stento in piedi, la mia testa era un caos, non sapevo dove mi trovassi, di chi fosse tutto quel sangue che portavo addosso e soprattutto perché avessi ancora quel coltello in mano. Lo lasciai cadere innorridita e sentì dei passi leggeri farsi più vicino, mi allontanai di un passo dalla porta e il mio cuore cominciò a correre nervoso.
Non avevo mai pensato all'eventualità che qualcuno avesse potuto vedermi in quello stato, era da un po' che giravo per quei corridoi, ma ogni porta era chiusa a chiave o accasciati ad esse cerano corpi di uomini e donne macellati. Mi passai una mano sul viso sfregandomi gli occhi doloranti, la serratura scattò lentamente due volte e la maniglia si mosse. Feci un passo indietro inciampando su me stessa e un ultimo giro di chiave mi fece bloccare il battito per due secondi.
Sorrisi sentendomi finalmente al sicuro quando vidi mia madre sulla soglia.
«Mamma...»
Sussurrai sentendo una lacrima scendere distratta sulla mia guancia, lei mi prese per il braccio e mi tirò verso di lei stringendomi in un forte abbraccio. Mi lasciai andare e subito mi prese il viso tra le mani guardandomi negli occhi, mi osservò a lungo e poi mi strinse di nuovo a sé incastrando una delle sue mani tra quel nodo unico che ormai erano i miei capelli.
Avevo freddo nonostante il corpo di mia madre fosse caldo, ogni volta era strano abbracciala, sembrava una mia coetanea.
«Dove siamo?»
Chiesi in sussurro lasciandola andare, lei si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e mi fece un sorriso malinconico accarezzandomi una guancia.
«Non pensarci, ora ce ne andiamo»
Annuì accontentandomi di quelle poche parole, c'era qualcosa di strano in lei, i suoi occhi color nocciola erano spenti, tristi forse, ma probabilmente era solo un mia impressione.
Si tolse la giacca e me la porse facendomi un cenno, io la indossai e rimasi li quando lei entrò nella stanza.
Sentì un uomo gridare e qualche insulto farsi padrone del silenzio. Mia madre uscì strattonando un ragazzo e io corrugai le sopracciglia quando incontrai il suo viso.

Non avevo idea delle ore che Matt avesse guidato, mi ero addormentata quasi subito dentro quel furgone nero. Quando aprì gli occhi fuori era buio, solo una pallida luce bianca all'orizzonte aveva attirato la mia attenzione, mi sfregai una mano sul viso e non riuscì a trattenere uno sbadiglio. Mi sedetti meglio sul sedile davanti e rivolsi uno sguardo al profilo silenzioso di Matt sentendomi la bocca impastata.
«Come va?»
Chiese con voce non troppo alta, non risposi subito, anzi mi soffermai a guardare la striscia bianca continua che spariva velocemente sotto il furgone. Nonostante mi fossi cambiata l'odore del sangue mi era rimasto addosso.
«Non lo so»
Risposi infine prendendomi il polso e fermando la mano tremante che mi impediva di concentrarmi.
Mi passai le mani sulle coscie, sopra quei larghi pantaloni della tutta che continuavano a scendermi sui fianchi, mi accorsi di indossare anche una felpa non mia e i capelli erano raccolti in uno chignon mancato.
«Dov'è la mamma?»
Chiesi accorgendomi all'improvviso che in quel furgone, probabilmente non nostro, c'eravamo solo noi due.
«Davanti a noi, anche se ha deciso di superare il limite di velocità più di mezz'ora fa»
Annuì respirando a fatica, immagini orribili continuavano a ripetersi nella mia testa e io chiusi gli occhi mettendomi una mano sulla fronte.
«Li ho uccisi io, vero?»
Il ragazzo non rispose e io mi passai la lingua sulle labbra secche cercando di riprendermi.
Non riuscivo a descrivere il mio stato in quei precisi minuti, ma era un mix di senso di colpa e angoscia che mi divorava lo stomaco con aggressività. Un orecchio cominciò a fischiarmi fastidiosamente e mi sorprese quanto mi fossero indifferenti le parole che avevo appena pronunciato, sì, perché quel mostro che mi stava mangiando lo stomaco non c'entrava nulla con quello che mi era successo, erano i suoi occhi scuri a farmi quell'effetto, era l'uomo che avevo visto uscire dall'ufficio con mamma che mi stava torturando i pensieri. Era lui che mi aveva presa in braccio da bambina, che mi aveva portata via da quella stanza buia e mi aveva lasciata sola in quella casa con un pacchetto di caramelle in mano.
Mi risvegliai dai miei pensieri e aprì gli occhi sbattendo le palpebre più volte, accorgendomi solo adesso che Matt mi avesse appena ignorata. Tornai a guardarlo, il suo sguardo era fermo sulla strada, anche se sapevo che era l'unica cosa a cui non stava pensando, si era scordato la freccia e di frenare all'incrocio. Sembrava pensieroso, come se qualcosa lo turbasse tanto da non lasciargli il tempo di dare attenzione ad altro.
«Per stanotte stiamo qui, okay?»
Disse all'improvviso svoltando in un parcheggio di una fabbrica, spense il motore solo quando trovò i posto più lontano dalle altre auto parcheggiate.
Levò le mani dal volante e appoggiò la testa al sedile stanco, prese un respiro e incrociando le braccia dentro quella stretta giacca di jeans consumata chiuse gli occhi senza dire un altra parola.

DnaWhere stories live. Discover now