4°capitolo - simple and pure fear

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Sorrise in un modo quasi cattivo.

«Ti voglio insegnare il detto: 'chi si fa i cazzi suoi campa cent'anni'.»

Fui completamente spiaccicata contro il muro.

«S-smettila, mi fai paura.»
«Oooh! Hai paura adesso?» mi fu davanti.
«Non capisco il problema che tu abbia nel prenderle...»
Buttò fuori una gran quantità d'ossigeno «Lo sai cosa capita a chi non segue il detto? Rischia prima di farsi male.» anziché rispondermi mi butto lì questa battuta.
Gli dissi «Ora basta...» e anziché far fuoriuscire quelle due parole con sicurezza uscirono in tutt'altro modo.
I suoi occhi esprimevano del divertimento «Ti conviene fare la brava.» si avvicinò ancora, bloccandomi.
«Forse staresti davvero meglio p-prendendole.» avevo toccato un tasto che forse sarebbe stato meglio non pigiare.

Tirò un forte pugno contro il muro.

«Insisti?!»

Mi prese per la grande maglia e mi fece urtare la schiena!

Sei solita a cercare guai.›

All'improvviso lui si sedette a terra e tenendosi la testa fra le mani mugolò dal dolore.
Mi spostai subito da lì!
Mi misi seduta e ben lontana da egli, tirai su le ginocchia e ci 'poggiai sopra le braccia dopo aver messo la testa fra di esse.

Ho una grande paura.› -le mie, erano un sacco di paure.-

Paura di lui.
Paura di non rivedere più il volto di mia madre.
Paura di non uscire da quì mai e poi mai.
Paura di essere vista per sempre come una detenuta o una criminale.
Paura di non poter avere più una vita normale.
Paura di diventare ciò che non ero, mista alla paura di impazzire.
Paura di essere massacrata o di come avrei dovuto comportarmi.
Paura di non saper sopportare tutto questo.

Paura che il buio, lì dentro, si prendesse prima gioco di me e poi si prendesse me.

Ma sapete qual è la paura più grande?›
‹È quella di guardarsi allo specchio e non saper riconoscersi.›

«Senti...» udiì la sua voce.

Tirai su la testa e tornai con lo sguardo su di lui.

«Be'? Cos'è che ti aspettavi? Ti avevano avvertito, giusto?» cominciò a farmi delle domande retoriche «Ora cosa pretendi da me!?»
«Niente, solo che tu chieda scusa.»
Mi guardò neutro «Come?»
«A me dispiace.»
«Cosa?» esclamò con divertimento «Séh, dai, e tu mi perdoneresti mai?» mi prese in giro per poi mettersi quasi a ridere!
«Sì, non dovrei?» gli risposi, anche fin troppo sicura.
Mi lanciò uno sguardo assurdo, come se fossi stata io la pazza «Non funziona così, sai?» sorrise sghembo.
I miei occhi erano puntati a terra «E come allora?» pronunciai in un sussurro.
«Le persone come me non vengono mai perdonate e se lo fanno è solo per paura.» osservò la stanza.

Non era sempre così, no?

Decisi di fargli questo ragionamento «Quando si pretendono delle scuse se poi fatte bisogna anche accettarle realtamente. No?»

Mi osservò in un modo strano.

Lui «Non funziona così.» Ma non ha senso!›
«E perchè?» chiesi continuando a non capire.
«Perchè è proprio questo il bello di pretendere! Non ti aspetti mai realmente che questo ti dia davvero ciò che vuoi. Così a volte, quando lo ottieni, anche non volendolo più, ti tocca comunque accettarlo.» mi rispose.
«Sembra un...» ci pensai su.
«Capriccio? Lo è.» trovò lui l'aggettivo giusto.

CRESCERE NEL CRIMINEWhere stories live. Discover now