15°capitolo - the iron fist method

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Christian «Il mio non risponderti è basato sulla speranza di farti tacere.»

Cosa?!› -quasi stramazzai a terra, come quei tipici personaggi dei cartoni animati quando vengono "frizzati". Ecco, sarebbe stata la descrizione perfetta.-

«Che vorrebbe dire?»

Sospirò.
Al posto di rispondermi ricominciò a camminare.

Rimasi ferma, totalmente perplessa.

Non ci penso proprio!›

Feci dietrofront, smettendo di seguirlo.

Ma tu guarda che–..› «Aahesclamai «Che stai facendo?!» gli chiesi, mentre mi ritrovai spiaccicata contro la parete.
Christian «Ti ho per caso detto di tornare in dietro o di smettere di seguirmi?» il tono che usò fu serio.

Mi lamentati.

«Dove pensi di essere?»

Non gli risposi.

«A scuola? O magari credi che sia un gioco?»
«Non penso a nessun gioco.» gli risposi mentre avevo ancora metà faccia spiaccicata contro la fredda superficie.
«Ah no?» disse «Eppure sembra di sì.»
«Ma cosa stai dicen–..» «Fino ad ora forse ti ho trattata con fin troppo riguardo ed è per questo che pensi di poter fare ciò che vuoi, come ad esempio smettere di seguirmi all'improvviso.» cominciò a dirmi «Decidendo di tua iniziativa. Non eseguendo i miei ordini.» ‹Ma cosa gli prende? Si è risvegliato in lui il poliziotto cattivo?› -come mio solito, in un momento del genere, riusciì a produrre lo stesso uno dei miei pensieri stupidi.- terminò il discorso.

Si tolse da me ma non lasciò la presa sul mio avambraccio.

Christian «Sei in un carcere, non al luna park.» disse a pochi centimetri dal mio viso «E non fare questa espressione...» ‹Dovrei pure non guardarlo male?› -pensai mentre lo guardavo in cagnesco.- «Ah e ricordati che non sono un tuo amico.» parve aver concluso, ma così non fu «Sono la guardia carceraria che sta scortando il detenuto.»

Detto questo mi fece continuare a camminare.
Rimasi zitta, in silenzio.

Il problema non era come mi aveva trattata, né il modo in cui mi aveva parlato...

Il problema è che ha dannatamente ragione.›

Di certo non avrei più rifatto l'errore di dimenticarlo.

Era la verità, non stavamo giocando. Tutto questo non era uno stupidissimo gioco e non lo era per prima cosa questo posto.
Fino ad ora forse non avevo preso in considerazione la serietà della questione.
Me l'ero semplicemente fatta "andar bene", come se fosse una cosetta di passaggio.

Mi doleva dargli ragione.

Avevo sempre riso e scherzato con lui come se fosse niente appena se n'era presentata l'occasione. Spesso non lo prendevo seriamente, disubbidivo sempre ai suoi ordini, e via dicendo.
Come se non bastasse, quando mi diceva che sarei dovuta tenermi lontana da certi soggetti la prendevo quasi come una sfida mettendomi poi a fare l'esatto opposto.
Mi ero messa addirittura a seguire una fra le guardie più temute del carcere per poi andare a finir rinchiusa in una cella senza via di scampo con il soggetto in questione da cui mi avevano detto di tenermi alla larga.

Io ero la detenuta. Lui era una guardia carceraria, punto.
L'avevo considerato come un amico anziché come uno fra i tanti persecutori che si trovavano in questa struttura.

CRESCERE NEL CRIMINEWhere stories live. Discover now