63°capitolo - let's share the blame

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Mi ritrovai addosso non solo l'arancione, ma anche mille puntini verdi a fargli da contrasto.

«Fermi dove siete!»

Ci stavano puntando addosso degli stramaledetti mirini laser.

*krakoom*

Il vetro, scoppiò. Una miriade di schegge si dispersero nell'aria ed il vento soffiò così feroce che quasi rischiò di trascinarci verso la grande finestra di cui ora rimaneva solo il cornicione.

Fu tutta questione di un solo attimo.

«Seguiamolo!» disse uno di loro.

Dove cavolo è andato?› -mi chiesi non vedendo più Claus.- Quel trambusto gli aveva permesso la fuga da questa situazione.

Osservai i due uomini rimasti più indietro degli altri che ci fissavano, e poi, tornarono a seguire i loro compagni.

Io «Dobbiamo uscire.»

Se fossimo rimasti quì anche per un solo secondo in più non avremmo visto il termine di questo temporale.
Ma quando mi accorsi che oltre ai miei non si udivano altri passi, mi voltai indietro.

«Che fai?!» tornai indietro e lo rancai per la manica «Dobbiamo–..» «Non toccarmi!»

Si tolse il mio tocco di dosso come se avessi potuto infettarlo con qualche sostanza radioattiva.

Gongolai «Be', è così che la mettiamo?»

Rialzai il mio sguardo su di lui.

«Ti. Ho. Già. Detto. Di. Non. Guardami. Così.» ringhiai lenta quanto feroce.
Aron «E come dovrei guardarti... Harley?»

E fu strano sentir uscire questo nome dalla sua bocca, ma era questa, ora, la realtà dei fatti.

Lui odiava a morte chi aveva dato fuoco al posto in cui veniva tenuta anche sua madre prima che fosse riportata a casa per morire. Ed io, lo odiavo perchè se lui non avesse dato fuoco alla mia di casa non avrei fatto mai la fine che ho fatto. Forse sarei morta. Chi lo sa. Ma di certo lo avrei preferito che farmi torturare il cervello dal mio cosiddetto padre.

«Io, dovrei odiare te, non tu me.» gli ricordai. ‹Eppure, non ci riesci.› -e, no, non ci riuscivo.-

Il pavimento tremò ancora. Stava per cadere tutto.

Aron «E dimmi, come ti senti?» ‹Che?› -non compresi.- «A sapere chi sei, a sapere che razza di demone si nascondeva al tuo interno.» mi disse «Che–..» «Basta.» indietreggiai.

Quel vaso rotto stava per portare in giro i suoi danni.

Provi dolore?›
‹Sì.›

Strinsi così forte i denti che quasi li spezzai.

...FLASHBACK...

«Perchè?» parlo con lo specchio «Perchè alla fine mi hai abbandonato?» ‹Perchè le cose rotte non le vuole nessuno.› -mi risponde il mio riflesso, mi logora i timpani la sua voce.- «Non l'ho chiesto io, di nascere così.» ‹Certe volte le cose capitano e basta.› «Ma mi aveva promesso che mi avrebbe portato al sicuro...» ‹E tu gli hai creduto, vero, ragazzina?› «Claus è diverso.» ‹No. Non lo è.› «Sta' zitta!»

Il pugno colpisce la superficie. Macchioline rosse scivolano sul mio polso per poi finire a terra e macchiare il pavimento.

CRESCERE NEL CRIMINEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora