31°capitolo - macabre touches

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«Non sono 'nessuno'.» sembrò sibilarlo.

Non risposi. Quella a rimanere in silenzio fui io 'sta volta.

«Anzi, qualcuno sono.»
«C-cioè?» balbettai come una stupida e lui sembrò esserne divertito.
«Sono quello da cui devi tenerti il più lontano possibile.»

Sembrò sussurrare. Un sussurro flebile, ma pur sempre potente quanto un uragano.

«Quello che potrebbe tirarti fuori dai tuoi incubi solo per divenire il tuo incubo stesso nel mondo reale.» prese una pausa «Sono un rischio. Hai capito? Una belva dell'inferno. E tu non sembri in grado di poter sopportare il rischio di esserci trascinata all'interno.»

Quelle parole mi entrarono dentro, mi si cicatrizzarono addosso.
In testa. Colpirono. E colpirono. Non fecero altro che martellare ed echeggiare.
Mi avevano perforato la carne per poi intrecciarsi alle mie ossa fino ad imprimere quel loro macabro significato nel profondo del mio animo.
Un significato triste, disperato. Fatto e finito d'una disperazione nera.
Mi colpirono, raggiungendo ogni mio più profondo centimetro di pelle.

‹Oh, tu non sai.› -pensai.- ‹Nell'inferno di cui tu parli mi ci sto sentendo precipitare.›

Si scostò. Mentre io rimasi dov'ero.

«Non voglio più che provi ad avvicinarti a me. Fa' in modo che io non respiri più la tua stessa aria nemmeno per sbaglio.» mi avvertì mentre mi puntava col dito, poi sembrò annusare l'aria ‹Perchè mi sembra un dejavù?› -mi chiesi, poi rabbrividiì.- «Hai l'odore di quel bastardo del tuo amico. E io non voglio imputridirmi i polmoni inalandone il puzzo.»

Mi mollò lì.

Cos'è questa sensazione che sento?›

Mi si apriì uno squarcio ancor più ampio all'interno.
Le sue parole mi ferirono. Forse, era questo che sentivo. Ferimento.

Completamente svuotata mi diressi all'interno della struttura.
Stavo attraversando l'ampio corridoio, attorno a me il silenzio, ed il rumore dei miei soli passi. Ma forse non solo dei miei.

«Dove vai?»

Un brivido.

Ricomiciai a camminare «Lasciami stare.»

Mi affiancò. Cercai di non darci peso ma il mio intero corpo aveva l'esigenza di allontanarmi da lui in fretta e furia.

Jo «Dove stai andando, ripeto.»
«A dormire.»
«Ti accompagno.» mi prese per un braccio. ‹No. Lasciami.› -urlò la mia testa.-

Rimasi zitta, rigida.

Non avrei potuto dimenticare.›

Svoltammo, ‹Mah...› per due volte ‹Dove stiamo andando?› «Non è l'area nord.» dissi «La mia cella non è di quà.» parlai in modo frettoloso, agitato, con tono urgente.
Jo «Lo ssórispose con pacatezza allungando la s.

Più in là ci spingevamo, più camminavo lentamente. Fino a fermarmi.

Era l'area delle celle d'isolamento.

No.›

Vidi una figura. La sua figura.

No no no no no no. Non voglio stare quì.›

CRESCERE NEL CRIMINEWhere stories live. Discover now