56°capitolo - two black holes

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Decisi di giocare un'altra carta.

Così, le chiesi «Chi pensi essere, adesso?

Il lato sinistro della sua bocca rosea s'inarcò di qualche millimetro all'insù. -E pensai- ‹Non può nascondere che ho toccato un certo punto con la mia domanda.›

Ero un vero e proprio intenditore del linguaggio del corpo. Anche se, lei, era una grande un'incognita persino con esso.

«Chi sono.» disse.
«È una domanda retorica?» domandai a mia volta.
«No.» rispose pacata «Sono chi sono adesso.»

‹Ancora. Ancora e ancora.› -quasi grugniì- ‹Sta continuando è?›

«Pensavo che fosse il direttore di un carcere, non uno psicanalista.» mi fece presente.

Non la contraddiì. Rimasi ad osservarla, ancora, e ancora. Fino a far sì che il suo volto mi si imprimesse nelle pupille fino alla nausea.

Era lei. Ne ero certo. Adesso. Doveva essere lei. Ma, al coltempo, non lo era.
Non avrei saputo come spiegarlo.
C'era qualcosa di contorto e vuoto, e oscuro, in quel paio d'occhi che prima erano luminosi ed intrisi di una nota di confusione.
Dapprima ch'era in ansia, ora si trovava esattamente a proprio agio ed io ero ben consapevole di che tipo di agio si trattasse. L'agio del pazzo manipolatore e della tranquillità piatta, che però in realtà era tutt'altro.
La particolarità della contorsione del suo animo io la percepivo.
Confuso. Intrappolato. Inesistente. Esistente. Un grumo di spiacevolezza.

«Vuole vedermi nell'animo?» si alzò «Prego...» mi si avvicinò.

Io fui incatenato nel suo sguardo ora annerito da fitte nebbie del passato. Di ciò che era. Di ciò che nascose.

«Guardami.»

Me la ritrovai all'improvviso ad un palmo dal naso.

Un demone.› -trasaliì.-

In un nanosecondo fui in piedi.

Cos'era questa sensazione di disagio lampante che ora mi picchiava nel petto?
Non seppi perchè, ma provai qualcosa. E fu l'intimidazion. Io.
Ciò che ci lessi fu quel che si potrebbe leggere all'interno di un demone in carne ed ossa.

«Sei libera di andare.»

E, di colpo, tornò com'era appena entrò quì dentro.

Sbatté le palpebre «Io...» si toccò la testa.

Mi ricomposi.

«Puoi andare.» dissi ancora.

Rimase silente, confusa. E poi si voltò per aprire la porta e finché non vidi la sua figura sparire dietro di essa durante la sua chiusura non buttai fuori l'ossigeno dai polmoni.

Taylor Vega (POV'S)

Stavo cammiandno di fianco a Christian, ma era come se non lo stessi facendo davvero.

Non ricordi la conversazione, vero?›
‹Non c'è stata.›
‹Oh. Sì, c'è stata eccome.›

Mi massaggiai le tempie. Qualche minuto prima avevo avuto delle fitte, e pensai fosse l'inizio del mio dolore, ma erano già cessate.

Andai a sbattere contro di lui.

«Mi stai ascoltando?»
«È?» dissi con confusione.

Christian mi osservò con attenzione.

«Vuoi andare in cortile o nella tua cella?» mi, probabilmente, ridomandò.
«Non saprei... Sono un po' scossa.» mi stropicciai gli occhi.
«Ah, a proposito» cominciò a dire «di che avete parlato?»
«Di niente.» feci spallucce.
Inarcò un sopracciglio «Di niente?»
«Sì, di niente.»
«Impossibile.» constatò.
Ma era vero, non avevamo parlato praticamente di niente «È così.» insistetti.

CRESCERE NEL CRIMINEWhere stories live. Discover now