XV

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Giovedì.

Quel giorno Louis avrebbe incontrato Harry, dopo che uno scherzo del destino li aveva fatti conoscere in un negozio di dischi in quel quartiere londinese, in uno strano martedì di maggio.

Finalmente l'avrebbe rivisto.

Non aveva idea di come comportarsi, di come interagire e di come approcciare.

Ma sapeva che voleva dannatamente conoscerlo.

Quella mano che si era impossessata dei suoi sogni la notte.

Quei suoi occhi verdi.

Quei suoi capelli ricci.

Le farfalle.

Voleva conoscere tutto di lui, dei suoi pensieri, delle sue idee.

Le sue abitudini, cosa gli piaceva fare in estate, che musica ballava da ubriaco in spiaggia.

I suoi tatuaggi segreti, il modo in cui cambiava umore, le canzoni che cantava mentre era solo.

Il suo film preferito.

Voleva conoscerlo.

E voleva che Harry gli chiedesse tutto di lui.

Avevano appuntamento appena dopo il lavoro, perciò avrebbe avuto pochissimo tempo per darsi una rinfrescata.

Aveva preparato già prima di uscire tutto ciò che gli sarebbe servito non appena sarebbe arrivato a casa, per non tardare.

Non amava i ritardatari e non amava far parte di essi.

Pensava che l'essere in ritardo significasse non avere rispetto del tempo di una persona.

Significava bruciare un'infinitesimale parte del suo tempo sulla terra.

E odiava tutto ciò.

Sapeva di non essere l'unico essere umano sulla faccia della terra e di non doversi comportare come tale.

Fu una preparazione lampo la sua.

Erano le 18:12 e già era per strada.

Era il tipo di persona alla quale se dicevi di presentarsi ad un appuntamento alle sette di sera si presentava con più di mezz'ora di anticipo.

Era fatto così.

Mentre attese l'ora esatta per entrare nel padiglione dei lepidotteri si sedette su una panchina del parco e fece ciò che gli veniva meglio, scrutare la folla.

18:32

Un uomo correva tenendo la sella della bicicletta di quella che credette essere sua figlia.

La bambina rideva rumorosamente, probabilmente era la prima volta che toglievano le rotelle posteriori dalla bicicletta e suo padre era lì per lei a sorreggerla.

Osservò con meraviglia la loro felicità contagiosa.

All'improvviso il padre lasciò la sella incitando la bambina a pedalare più veloce e lei sorrise vittoriosa.

Vide nei suoi occhi la felicità per aver imparato una cosa nuova, per il vento tra i capelli che le spostavano le ciocche dal viso, per il tempo trascorso con il suo papà.

Vide negli occhi dell'uomo l'orgoglio per aver insegnato a sua figlia ad andare in bicicletta, ad aver superato un nuovo ostacolo, vide la pazienza.

Poi la bimba cadde, mettendo il piede in fallo e iniziò ad urlare e piangere.

Non chiamò suo padre, chiamò quell'uomo per nome.

Allora non è suo padre..

Ipotizzò che si trattasse probabilmente del compagno della madre, poiché mentre l'uomo si prendeva cura, preoccupato, della bambina, lei continuava a ripetere di volere la sua mamma.

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