34. The Invisible Charybdis

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Passiamo quasi tre ore chiusi dentro Caffè Nero.

Il mio fratellino mi ascolta parlare della mia nuova vita con gli occhi spalancati e un sorriso dipinto sulle labbra, e tutto il suo corpo manifesta un morboso interesse.

Mike è sempre stato un bravo ascoltatore: non interrompe mai, e sa porre le domande giuste.

Gli racconto tutto, nei minimi dettagli (sono sempre stati i dettagli a fare la differenza, per noi), descrivendogli luoghi e persone come se dovessero prendere vita di fronte ai suoi occhi. 

Sono poche le cose che tengo per me.

Minimizzo la questione della rissa tra me e l'ormai quasi dimenticato Klaus Voorman, e taccio del tutto i miei problemi con il consiglio disciplinare.

Se mio padre conoscesse questi dettagli, se mai Mike glieli rivelasse per errore o in buona fede, nulla lo tratterrebbe dal rinchiudermi ad Oxford per il resto della mia vita.

E, in fondo, tacere qualcosa non equivale propriamente a mentire.

Per fortuna, l'attenzione di Mike è più solleticata dalla descrizione dei miei nuovi amici, piuttosto che dai miei trascorsi accademici.

Soddisfo finché posso la sua curiosità su Churchill, Shiva e Phineas. Questo è un argomento più semplice: il solo pensare a loro basta a distendere del tutto i miei nervi.

Ometto solo il dettaglio delle notti passate accanto a Churchill, in parte perché non voglio che Mike senta di essere stato sostituito, e in parte perché è qualcosa di così naturale e allo stesso tempo così fottutamente difficile da spiegare agli altri.

"È fantastico, sul serio" dice Mike, al termine della nostra chiacchierata, "Sembra la trama di un libro"

Rido.

"Solo qualcuno con molto tempo da perdere scriverebbe un libro del genere"

Mike si limita a sorridere, con dolcezza.

"Mi piacerebbe conoscere i tuoi amici" accenna, timidamente, e so che sta facendo di tutto per lasciarmi i miei spazi e non risultare invadente.

"Puoi farlo, sai" acconsento, "Dovrebbero essere tutti al New Court, adesso"

Lui scrolla le spalle.

"La prossima volta, magari" patteggia, un po' a disagio, "Tra mezz'ora devo prendere il treno di ritorno. Papà si preoccuperà se non mi vede tornare a casa, gli ho detto che andavo a lezione"

Il sorriso mi muore sulle labbra.

Nonostante tutti i miei buoni propositi, tutta la distanza accumulata in questi mesi, sono stato capace di ferirlo ancora.

Non ho avuto tempo di ragionarci a dovere, finora, del tutto preso dalla felicità di avere di nuovo mio fratello insieme a me.

Ma lui non è qui per una visita di cortesia.

Si è messo sul primo treno nel terrore che io stessi di nuovo male, nella speranza di arrivare in tempo per ricomporre i pezzi.

"Mi dispiace, Mikey" ammetto, e allungo una mano oltre il tavolo per posarla sul suo avambraccio, "Non devi più preoccuparti per me, dico sul serio"

Lui sorride, un sorriso stanco, adulto.

Il tipo di sorriso che alla sua età non si dovrebbe conoscere.

"Avevo solo voglia di passare del tempo con te"

Sta mentendo, almeno in parte.

Lo dice perché non mi senta in colpa, perché non mi senta in debito con lui.

𝐀𝐔𝐃𝐄𝐍𝐓𝐄𝐒 𝐅𝐎𝐑𝐓𝐔𝐍𝐀 𝐈𝐔𝐕𝐀𝐓 - mclennonWhere stories live. Discover now