60. The Eagle

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L'esterno del The Eagle non è particolarmente imponente, né caratteristico: è l'unica cosa che mi è passata per la testa quando, passeggiando con Cyn, lo ho notato per la prima volta.

Ad attirare la mia attenzione era stata l'insegna, di un elegante rosso porpora, su cui spiccano il nome del locale, vergato in lettere dorate, e l'effigie di un'aquila rampante.

Gli Audentes mi avevano parlato sino allo sfinimento di quel posto, nelle tre settimane precedenti, e io ne ero talmente incuriosito che per un attimo, nel trovarmelo davanti, ero rimasto inchiodato al suolo.

Il mio arresto improvviso aveva quasi fatto perdere l'equilibrio a Cyn, attorcigliata come sempre attorno al mio braccio.

Non si era lamentata, non lo faceva mai. Aveva semplicemente seguito la linea del mio sguardo, e mi aveva chiesto se mi interessasse entrare.

Anche Jane, molto tempo più avanti, mi aveva rivolto la stessa domanda.

E a tutte e due io avevo risposto allo stesso modo: no, grazie.

Cynthia, non appena ascoltato il motivo del mio rifiuto, aveva sorriso e proposto l'ennesima sala da the.

Jane, prevedibilmente, aveva colto l'occasione per psicoanalizzarmi.

"Tesoro" aveva iniziato. Aveva usato quel tono con cui le capita di rivolgersi a me, di tanto in tanto: un misto di preoccupazione, arroganza e affetto che non ho mai sopportato.

"Non iniziare, Cherry" la avevo rimproverata, all'istante.

A volte, e più che spesso, mi viene il dubbio che a Jane Asher io piaccia più come paziente, che come amico.

Lei aveva sospirato.

"È solo che non voglio vederti soffrire" si era giustificata, tormentandosi le cuticole con le unghie. "Sai come sono fatti. Potrebbero non accorgersi delle aspettative che riversi su di loro"

Jane non parla mai direttamente di Churchill.

I suoi discorsi sono sempre orientati a un loro. All'intero gruppo, senza apparenti distinzioni, questa specie di entità astratta e tendenzialmente egoista, una disattenta idra a tre teste sempre pronta a ferirmi.

Non c'è mai un diretto interessato, nei suoi avvertimenti, ma il nome di Churchill resta latente, oscilla sulle nostre teste come la lama di una ghigliottina, senza che lei abbia il coraggio di pronunciarlo.

"So come sono fatti" avevo replicato, quel giorno. "Ci andremo insieme. Lo hanno promesso"

Anch'io, come lei, ero terrorizzato all'idea di abbandonare l'illusione di quel plurale. Terrorizzato di ammettere quanto peso avessero per me, sin dal primo istante, le parole di un ragazzo poco più che sconosciuto.

Mi aveva promesso ricordi solo nostri, in quel posto. Non macchiati da nessun altro. E in attesa che mantenesse la sua promessa, io volevo fare del mio meglio per mantenerla a mia volta.

"Oh, Cassius" aveva mormorato invece Jane, carezzandomi il viso con un affetto talmente dolente che mi ero scostato, infastidito. "Spezzarti il cuore è così facile che non sembra neppure crudele. Solo inevitabile"

"Non trattarmi come un'emergenza da gestire" avevo ribattuto.

Jane aveva sorriso, con dolcezza.

𝐀𝐔𝐃𝐄𝐍𝐓𝐄𝐒 𝐅𝐎𝐑𝐓𝐔𝐍𝐀 𝐈𝐔𝐕𝐀𝐓 - mclennonWhere stories live. Discover now