54. The Unshakable Complicity

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Mi bacia, dita che mi afferrano i capelli, il superfluo sforzo di tenermi fermo: non ho intenzione di andare da nessuna cazzo di parte.

Un sentore di denti sul labbro inferiore. Sangue. Il mio? Il suo? Non abbastanza lucidità per farci caso.

Si allontana d'improvviso, preziosissimo tempo per riprendere fiato, passa la lingua sulle labbra per raccogliere una stilla di sangue.

"Piccolo bastardo" soffia, ma non è arrabbiato.

Un attimo di confusione da parte mia.

Poi capisco: si riferisce al sangue. Sono stato io a morderlo.

Non lo ricordo neanche, non sembra importante.

Il mio pollice contro la sua bocca, il tentativo di scorgere nella penombra il punto preciso della ferita, ora che non c'è più il sangue a segnalarlo.

Non mi interessa sul serio controllare il suo stato: voglio solo sentire le sue labbra gonfie per via dei miei baci. Voglio una prova fisica di ciò che sta succedendo.

E ad essere sinceri: Dio, quanto la fa lunga per un po' di sangue.

"Ti ho fatto male?" chiedo, di malavoglia.

"Non è niente" mi rassicura, quietamente.

Bacia il mio polpastrello, le sue labbra che vi si chiudono attorno per un attimo.

Un brivido.

"Allora, tesoro" lo rimprovero, brusco, tirandomelo di nuovo contro. "Davvero non capisco perché cazzo non torni qui e basta"

Ride, una risata spezzata ma sincera.

"Troppo lontano?"

Sorrido anch'io.

Un sentimento di soffocante tenerezza all'idea che ci siano battute che sono solo nostre.

"Decisamente"

Si avvicina un po', ancora non abbastanza.

"Così?"

Non è una provocazione, solo un gioco.

Il suo sorriso è innocente, divertito. I suoi occhi scintillano d'eccitazione, in una maniera infantile che mi riempie di tenerezza.

"Stupido" lo rimprovero, senza tuttavia riuscire a trattenere un sorriso di risposta.

Posa la fronte contro la mia, il suo respiro (dentifricio, una traccia ancora palpabile di alcol e fumo) mi riempie le narici.

"Così?" ripete, cantilenando.

Mi piace questa atmosfera.

Tutte le altre volte, per quanto bello, era come se non fossimo noi: attenti a non parlare, nessun accenno di conversazione e nessuno spiraglio di tempo morto in cui ragionare su cosa cazzo stessimo facendo.

Questo è diverso.

È familiare, dolce. Privo di paura.

Siamo solo noi.

"Churchill" sbotto, quindi, senza essere realmente infastidito.

"Cosa, principessa?"

Il sorriso che ha stampato in viso lo fa sembrare un idiota, ma non ho il coraggio di farglielo notare.

Sul mio, probabilmente, è dipinta la stessa espressione.

"Ne hai ancora per molto?" lo rimprovero.

Il suo sorriso resta immobile, ma si colora di una sfumatura meno innocente.

𝐀𝐔𝐃𝐄𝐍𝐓𝐄𝐒 𝐅𝐎𝐑𝐓𝐔𝐍𝐀 𝐈𝐔𝐕𝐀𝐓 - mclennonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora