16. On my own

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Perché?

Perché doveva essere così difficile?

Perché non poteva fingere di avere una vita normale, in cui non aveva nessun tipo di problema e non era diventato un oggetto difettoso che si rompeva ogni qualvolta veniva usato per un periodo di tempo troppo lungo? Perché non poteva fingere che l'incidente non fosse mai successo senza essere rispedito nel baratro della sua oscurità dai dolorosi strascichi che esso gli aveva lasciato?

Disperato era un termine che non riusciva a definire il suo stato in quei momenti. Il dolore diventava talmente acuto da portarlo a perdere letteralmente la testa. I pensieri si azzeravano, il cervello diventava una lavagna bianca su cui un pennarello continuava a scrivere con fastidiosi e penetranti squittii senza lasciare alcun segno.

Dolore. Solo dolore esisteva.

Come un cane selvaggio, stringeva la coperta nei pugni prima di morderla violentemente fra i denti, cercando disperatamente di soffocare le grida nella stoffa e sperando che la tensione diminuisse la ferocia del bruciore. Non funzionava. La sua gola si apriva involontariamente in versi gorgoglianti e le sue gambe si contraevano e contraevano e contraevano a ogni fitta. A quel punto, il suo stomaco iniziava a rattrappirsi su se stesso, chiudendosi in convulsioni spasmodiche e portandolo a tossire in preda ai conati, invitandolo a svuotarsi ancora e ancora. Ma Seokjin non aveva mangiato nulla perciò non usciva altro che dolore e la sua saliva acida e altri colpi di tosse convulsa.

Non udì la voce di Jimin chiamarlo, inizialmente. Le sue orecchie erano piene di un fischio lontano che annullava ogni suono che lo circondava. Perfino le sue stesse grida. Non notò subito neppure la cicatrice di luce generata dalla porta che si apriva, spinta con veemenza dal suo amico che si stava precipitando al suo fianco. Percepì la sua presenza solo quando gli posò una mano gentile e così meravigliosamente fredda sulla spalla, scrollandolo dolcemente per fargli aprire gli occhi bagnati di lacrime.

-Hyung, ti ho portato l'antidolorifico, mi senti?

Jin, deglutendo debolmente, annuì con un gesto confuso e perso, cercando a tentoni nella nebbia che aveva preso possesso della sua vista. Quando la mano di Jimin mise la pillola nel suo palmo, l'uomo fece per rimettersi a sedere prima che la stanza iniziasse a girare intorno a lui, portandolo ad afferrarsi la testa fra le mani e abbandonarsi nuovamente contro il materasso.

-Piano hyung, non avere fretta...

Delle dita gelide si appoggiarono sulla sua fronte bollente, facendolo rabbrividire ma spegnendo, per un dolce istante, l'inferno nella sua testa. Dopo qualche secondo, Seokjin strinse i denti e si mise a sedere con un lamento tremante. Sbattendo le palpebre per dissipare la coltre nei suoi occhi, scrutò la pillola bianca nel suo palmo mentre prendeva con
dita incerte il bicchiere d'acqua che Jimin gli stava consegnando. Più scrutava la pillola lunga quanto una sua falange, più sentiva i conati risalire come una marea, facendolo ripiegare su se stesso al solo pensiero di introdurre qualcosa nel suo stomaco.

-Ce la fai, hyung? Possiamo chiamare il dottore per-

Jin prese a scuotere il capo con gesti che, a suo parere, dovevano risultare risoluti ma che in verità, uniti al dondolio del suo corpo, dovevano apparire solo patetici.

-Ce... la... posso fare...

Niente dottore. Il dottore gli avrebbe fatto una flebo e quello voleva dire aghi. Avrebbe preferito mille volte rischiare di rimettere piuttosto che farsi perforare. Tremando, si portò la mano alla bocca appoggiando la pillola sulla lingua, prima di avvicinare alle sue labbra aride il bicchiere oscillante. Ingoiare era un'impresa, perché sentiva la gola pronta a stringersi attorno a qualsiasi cosa vi passasse attraverso oltre che protestare a causa dell'irritazione che già la rendeva sensibile.

Solitary (K.SJ)Wo Geschichten leben. Entdecke jetzt