31. Come home with me

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Jimin poteva ancora sentirlo sulla punta delle dita, il calore che eruppe nel momento in cui le loro pelli si incontrarono. Avvolgente, confortante e così assuefacente. Gli aveva attorcigliato la mente in una nuvola fumosa, ammortizzando i suoi pensieri e cancellando ogni traccia di coscienza di ciò che succedeva al di fuori di loro due. Quelle mani che appena si erano sfiorate nel giro di pochi istanti si ritrovarono intrecciate, prima di fare aderire anche le loro braccia.

Jimin non aveva idea di come avrebbe potuto prendere e andarsene da lì nel giro di cinquanta minuti. Come avrebbe fatto a sopravvivere senza quel tepore? Il suo cuore trepidava già in battiti ansiosi al solo pensiero. Con un sospiro, perciò, spostò ulteriormente il peso verso la ragazza in modo che le loro pelli fossero completamente adese fino all'estremità delle loro spalle. E mentre cercava di navigare quell'ammasso confuso che era diventato la sua testa, percepì il capo di Jein appoggiarsi su di lui. La guancia di lei contro la sua pelle, le sue ciglia a sfiorare delicatamente il suo collo.

Jimin deglutì facendo sfarfallare freneticamente le palpebre, mentre la sua mente non faceva che riempirsi sempre più di fumo e di calore. Per un momento, gli parve di essere una macchina in surriscaldamento, con i motori in panne e il sistema in tilt. Mordendosi le labbra, appoggiò delicatamente il capo sopra a quello di lei, sospirando a fondo.

-Forse... posso trovare un modo di non partire. Posso lasciare andare avanti i ragazzi e raggiungerli solo per gli impegni più improrogabili. Dobbiamo filmare due video musicali, ma a parte quello se la possono cavare senza di me per le interviste e-

-No, Jimin. È il tuo lavoro, è importante che tu vada.

La voce di lei suonò meno distante che in precedenza. Sembrava quasi intorpidita dal sonno, impastata da quella sostanza che oscurava il cervello di entrambi. Jimin, allora, aprì la bocca. Le parole però si bloccarono a metà percorso dalla sua mente alla sua lingua. Che cosa avrebbe dovuto rispondere? Voleva insistere, convincerla che restare insieme era la soluzione migliore, implorarla di seguirlo o di permettergli di restare... ma nulla uscì. Richiuse le labbra, sospirando.

-Non voglio andare.

Ci fu qualche istante di silenzio in cui Jimin chiuse gli occhi, cercando di assorbire tutto il calore che riusciva a racimolare. Forse, se lo avesse degustato attentamente, sarebbe riuscito a conservarlo dentro di sé anche nei giorni avvenire.

-Neanche io- replicò sommessamente Jein. Jimin, allora, strinse appena la mano incastrata nella sua.

-Non potresti chiedere una settimana di ferie?- chiese lui con tono implorante, aggrottando le sopracciglia anche se lei non poteva vederlo in viso.

-Forse- si affrettò a rispondere la giovane -ma non posso lasciare il paese per una settimana. Non posso stare lontana da casa così tanto tempo.

Il ragazzo contemplò la risposta con crescente confusione.

-Perché?

Solo il silenzio seguì la sua domanda. Perché non poteva lasciare casa sua? Una settimana non era poi così tanto tempo. Voleva forse dire che non si era mai presa una vacanza vera e propria? Che non si era mai allontanata per più di qualche giorno? Era assurdo. Avrebbe voluto indagare di più, scoprire se era connesso con le difficoltà che sembrava avere con i suoi genitori e cercare di sciogliere quello spiacevole presentimento che sedeva nel suo petto e gli stuzzicava la coscienza, ma la sua evidente mancanza di interesse nel continuare il discorso lo fermarono.

Alla fine, chiuse semplicemente gli occhi, inspirando a fondo e lasciando che il calore inondasse ogni sua cellula. E rimasero lì, così, fino alla fine del loro incontro.

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Solitary (K.SJ)Where stories live. Discover now