CAPITOLO 11:

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Appena finimmo di cazzeggiare da bravi stupidi decidemmo che era ora di mettere qualcosa nella pancia.
Mi preparai un piatto di deliziosi spaghetti, che mangiai insieme a del pane morbido e dei pomodori. Elija mi fece compagnia anche se mi sentivo un po' in colpa a mangiare davanti a lui che, oltre ad avere sicuramente fame, doveva convivere con la tentazione di una facile preda intorno a sé.
~ Stai imparando a correre, ho notato.~ disse lui rompendo il silenzio.
~ Sapevo già correre, sai?~
~ Non veloce come un demone. O come un vampiro o un licantropo.~
~ E ora ci riesco?~
~ Abbastanza.~
~ Mmh... Tirchio...~ borbottai.
~ Cioè?~
~ Mai una volta che fai un complimento decente.~
~ Mmh...Permalosa.~
~ Oh, puoi giurarci.~
~ Ma sei anche un po' preoccupata, vero?~ chiese cambiando tono di voce, rendendolo più delicato anche se non mi sfuggì il tono derisorio.
~ Be', sì. Per la professoressa.~ ammisi sapendo già cosa avrebbe risposto.
~ Ti ho detto che non devi preoccuparti di lei.~ mi ricordò mantenendo lo stesso tono calmo di voce.
~ No, lo so. Ma da sempre ho un po' paura di fare una brutta impressione agli insegnanti.~ confessai abbassando lievemente lo sguardo.
~ Ah, be', quello è un problema tuo, tesoro.~ rispose alzando le spalle.
~ Senti, carino, cerca di non allargarti troppo con i nomignoli.~ feci io.
~ Come vuoi, principessa.~ ribatté sorridendo.
Alzai gli occhi dal piatto e lo fulminai con lo sguardo, ma non ottenni molto perché lo sguardo che mi rivolgeva lui era molto più freddo e letale dei miei fulmini.
Finii di mangiare ignorando i due diamanti che erano puntati su di me come due riflettori, evidenziando ogni mia mossa, ogni mio movimento. Temevo quasi che potesse illuminare addirittura i miei pensieri con quegli occhi.
Per smorzare quel legame invisibile che si era creato tra noi mi alzai e cominciai a sparecchiare e a lavare piatto, bicchiere e posate.
~ Angy?~
~ Dimmi.~
~ Io ti spavento?~
Per fortuna ero girata di spalle, altrimenti chissà quali risposte avrebbe dedotto dalla mia faccia. Quella domanda proprio non la capivo, infatti faticai un po' a rispondergli.
~ No... Non direi...~ balbettai incerta.
~ Ne sei sicura?~ chiese ancora con tono molto pacato. Troppo.
Dal rumore che udii realizzai che si era alzato e probabilmente si stava muovendo verso di me; lentamente, silenziosamente e in un modo che mi metteva molta ansia.
Restai immobile mentre percepivo la sua presenza sempre più vicina. Avevo i brividi lungo la schiena ma feci di tutto per non mostrarlo; non volevo apparire vulnerabile o spaventata anche se lo ero. Decisamente.
Mi stava prendendo in giro? Prima mi chiede se mi fa paura e dopo che gli ho detto di no fa di tutto per terrorizzarmi. Riuscendoci, anche.
Immaginai il suo corpo slanciato aggirare piano piano il tavolo mentre il suo viso era puntato su di me.
Ci misi tutta la mia concentrazione e il mio autocontrollo per non sobbalzare quando le sue dita gelide mi sfiorarono la pelle sui gomiti. Lentamente, risalì le mie braccia fino alle spalle continuando a mantenere un sottilissimo contatto fra me e lui. Quando raggiunse i lati esterni delle spalle si fermò e vi fece aderire completamente i palmi delle mani, con le dita rivolte in avanti.
Non parlava e credo che neanche respirasse. Chiusi gli occhi cercando di concentrarmi per non tremare. Mi pareva quasi che dalle sue mani fredde nascessero tante piccole spirali altrettanto fredde che mi avvolgevano, congelandomi.
Avevo l'impressione, ormai, che la sua pelle fosse come incollata alla mia ma riuscì lo stesso a staccare una mano dalla mia spalla, che portò vicino al mio collo spostandomi i capelli sulla parte destra del busto, lasciando l'altra scoperta. Il suo petto aderì alla mia schiena e lì cominciai ad avere davvero paura.
Non sapevo cosa volesse... Dovevo dirgli che mi spaventava? Mostrarmi coraggiosa e affrontarlo? O semplicemente (e speravo proprio di sbagliarmi) la fame era troppa per riuscire a resistere?
Incurvò le dita della mano sinistra lungo la curvatura del braccio mentre con l'altra seguì il profilo della mandibola, tirandomi un po' verso di lui.
"Sta calma." pensavo.
"Ha resistito fino adesso, non cederà proprio ora." mi dicevo tentando di respirare normalmente.
Quando appoggiò la guancia alla mia fronte mentre mi accarezzava sotto al mento alzandomi la testa andai nel panico.
Dovette accorgersene subito, perché si irrigidì e il tempo cominciò a scorrere a una velocità assurda, surreale.
Sentii la punta del suo naso poco sotto il mio orecchio e realizzai che mi avrebbe morso, che avrebbe bevuto il mio sangue; si sarebbe nutrito da un corpo rigido e immobile dalla paura, come un freddo distributore di cibo per demoni.
Un suono ruppe i cristalli di gelo che si erano congelati nell'aria. Mi fece lo stesso effetto del canto della colomba o, per render meglio l'idea, della campanella a fine lezione. Era il campanello della porta.
Approfittando della distrazione di Elija mi smaterializzai in camera e finii sul letto, ansimando e tossicchiando leggermente.
Mi voltai sulla pancia schiacciando il viso sul materasso, tentando di riprendermi e sperando che anche lui si fosse ripreso.
Feci passare diversi minuti durante i quali a malapena respiravo prima di calmarmi un po'.
Una scarica di adrenalina mi percorse da capo a piedi e decisi di andare a vedere chi fosse arrivato. Almeno per ringraziarlo come si deve di avermi salvato la vita.
Sparii dalla stanza e riapparii sulle scale, nascosta da una parete e decisi di ascoltare prima di farmi vedere.
~ La ringrazio, professoressa.~ fece Elija tranquillo come al solito.
Si comportava come se nulla fosse successo; ma io sapevo cosa era successo e la prova era il suo profumo ancora presente addosso a me, che riuscivo a sentire chiaramente.
~ Figurati, Elija. Dimmi, come stai?~ rispose la voce di una donna.
~ Bene, professoressa Dyulig e lei?~ ribatté lui gentilmente.
~ Al solito. Sono ansiosa di conoscere la tua ospite.~
Una scossa mi destò dalla trance in cui mi ritrovavo e realizzai che con lei in casa non avevo nulla da temere. Decisi quindi di indietreggiare sulle scale e fingere di averle scese in quel momento prima di farmi vedere.
~ Eccomi.~ dissi cercando di sembrare tranquilla e a mio agio mentre scendevo gli ultimi quattro scalini e sgusciavo fuori dal muro che poco prima mi nascondeva.
Puntai subito lo sguardo sulla donna che si stagliava nell'ingresso di fianco a Elija.
Era alta, snella e sembrava avere sui cinquant'anni. Nonostante l'età, i suoi capelli erano neri come la notte, tenuti stretti in un ordinato chignon.
La pelle chiara del viso faceva risaltare quei pozzi neri che erano i suoi occhi, ampi e scattanti.
Le labbra sottili si incurvarono in un delicato sorriso quando mi vide.
Avanzò verso di me con grazia e scioltezza, facendo ondeggiare le vesti. Indossava un abito viola scuro dalle maniche lunghe e strette che le arrivava fino ai piedi e sopra ad esso portava una specie di mantello nero i cui lembi erano uniti sul petto da una spilla luccicante.
Allungò le braccia verso di me e strinse la mia mano fra le sue, lisce e leggermente rugose.
~ Mia cara ragazza, io sono la professoressa Astorya Dyulig. È un piacere conoscerti.~ disse con voce chiara dal tono un po' rauco.
~ Piacere mio, signora.~ risposi sorridendo a mia volta.
Il problema? Ero tutto tranne che felice.
Ero ancora scossa da quello che era accaduto con Elija, nervosa per l'incontro con quella donna, confusa sul perché di quella visita e, soprattutto, incazzata nera senza nemmeno un motivo, cosa che mi faceva arrabbiare ancora di più.
~ Qual'è il tuo nome?~ mi chiese inclinando la testa.
~ Angel. Angel Denely.~
~ Perfetto, ora sappiamo cosa scrivere sul monumento.~ fece battendo le mani.
~ È per questo che è venuta?~ le domandai guardandola.
~ Si vuole accomodare professoressa?~ disse Elija indicando il tavolo.
Rabbrividii guardando il punto dove poco prima mi ero spaventata a morte. Con i ricordi tornarono tutte le sensazioni che avevo provato; paura, nervosismo, panico e tanto, tanto freddo.
Tenni gli occhi puntati sulla donna. Non avevo alcuna intenzione di rivivere quel momento o -peggio ancora- di guardare Elija.
~ Grazie Elija.~ mormorò lei una volta seduta.
~ E no, signorina Denely. Non sono venuta solo per il suo nome.~
Quelle parole mi diedero molto fastidio. Prima mi dà del "tu" chiedendomi il mio nome poi una volta saputo comincia a darmi del "lei" e a chiamarmi "signorina Denely"?!
Odiavo quando la gente mi chiamava così. A parer mio, l'unico che dovrebbe dare del "lei" è il capo, non il professore.
~ Mi incuriosiva conoscerla. Inoltre, dovrei prepararla a come sarà la scuola per lei.~ rispose alzando la testa per guardarmi negli occhi.
~ In che senso come sarà la scuola?~ chiesi.
~ È una mezz'essere. Non se ne vedeva uno da più di un secolo ormai. Ovviamente tutti sapranno chi e cosa è, dunque sarebbe un bene prepararla. L'esperienza scolastica alla Highsbury sarà completamente diversa per lei.~ sentenziò.
~ Che meraviglia...~ mormorai senza tentare di fingermi contenta.
~ Deve essere fiera di quello che è.~ ribatté la donna.
~ Oh, lo sono.~ risposi sospirando. ~ Ma se oltre a incasinarmi la vita questa cosa deve anche crearmi dei problemi a scuola non credo di restarlo ancora per molto.~ aggiunsi dura.
Lo sguardo che mi lanciò la professoressa fu qualcosa di indescrivibile; un misto di incredulità, irritazione e severità che mi travolse.
~ Non le creerà dei problemi. Porterà tutti gli studenti a volerla conoscere e a starle vicino. Io sono venuta per dirle di non montarsi troppo la testa e di seguire le lezione come fosse un qualsiasi altro studente normale.~ rispose seria e composta.
~ Quindi sono una studentessa anormale?~ domandai con un minuscolo invito a dire di sì.
~ Non anormale. Direi piuttosto speciale. Cerchi solo di non farmi cambiare idea.~ rispose piattamente.
~ Bene Elija. Ci vediamo a scuola; ora devo proprio andare.~ disse tornando gentile e con una parvenza di umanità sul viso mentre si alzava.
Anche lui si alzò e l'accompagnò alla porta.
~ L'aspetto a lezione signorina Denely.~ fece prima di uscire chiudendosi la porta alle spalle.
Prima ancora di udire il clack della serratura sparii e riapparii in giardino, da dove mi diressi dentro alla foresta fin sopra a quello che mentalmente avevo soprannominato "il mio albero", ovvero quello da cui Elija voleva costringermi a saltare.
Salii molto più in alto stavolta; finché non trovai una biforcazione abbastanza grande da stendermici sopra.
Cominciai a respirare forte e in fretta, con il petto che si alzava e abbassava freneticamente e il cervello scosso da milioni di pensieri e emozioni complessi e contrastanti.
Non sapevo che fare. Ora avevo paura di Elija. Tanta, troppa paura anche solo per avvicinarmi; il che era un bel problema visto che vivevo con lui.
Sarei rimasta su quell'albero finché non mi fosse venuta un'idea e non avevo idea di quando sarebbe successo.
Appena passarono un po' di minuti mi rilassai un po' e lasciai cadere le braccia a penzoloni giù dall'albero, chiudendo gli occhi.
All'improvviso realizzai che non ero più al sicuro con lui. Che non lo sarei mai stata, almeno non dopo quanto era successo.
Mi sforzai di non guardare giù mentre saltavo dal ramo ricadendo a terra pesantemente. A causa della velocità con cui caddi persi l'equilibrio, finendo lunga distesa per terra, ma senza farmi male.
Non potevo più stare lì. Quanto ci avrebbe messo a trovarmi?
Mi misi a correre verso il fitto della foresta tentando di andare sempre più veloce e sempre più lontano da quella casa e -inaspettatamente- corsi fino alle cinque di pomeriggio senza fare la minima fatica.
Raggiunsi una strada asfaltata e mi misi a camminare con calma al fianco di essa. Le rune sul mio collo cominciavano a bruciarmi e, non riuscendo a spiegarmelo, ignorai il pizzicore e continuai ad avanzare, priva di stanchezza, fame o sete.
Udii un rumore in lontananza che identificai come il motore di una macchina.
Cercai di nascondermi tra gli alberi ma la luce dei fanali mi centrò in pieno, illuminandomi, così mi fermai dov'ero.
La macchina rallentò e accostò al mio lato della strada.
~ Ciao carina. Ti sei persa?~ chiese un ragazzo sporgendosi dal finestrino.
Mi bastò un momento per realizzare che era un demone anche lui. Ora capivo il pizzicore sul collo che si stava lentamente affievolendo, mentre osservavo i suoi occhi gialli.

Mezz'essereWhere stories live. Discover now