CAPITOLO 17:

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Quell'incessante pressione mi toglieva il fiato; nella mia testa continuavo a ripetermi "adesso... No, aspetta... Ora, vai..." con talmente tanta indecisione che mi sarei presa a pugni.
Ogni volta che stavo per voltarmi ed afferrare il pugnale il terrore che le si alzasse e mi saltasse addosso mi bloccava.
Non volevo servirle l'occasione di un facile attacco su un vassoio d'argento.
Vassoio d'argento?! Il vampiro dentro di me si rivoltò furiosamente, facendomi pentire di aver anche solo formulato istintivamente quel pensiero.
Arretrai, fino a premere il retro delle gambe contro la scrivania. Tastai il legno lucido sfiorandolo appena com le dita, gettando rapide occhiate all'indietro per capire quanto vicine alla lama affilata fossero le mie mani.
La pelle mi pizzicava, come stessi prendendo la scossa e percepivo chiaramente il tremore convulso delle falangi.
Una serie di imprecazioni furiose partì nella mia testa.
È un cazzo di coltello, Angy! Prendilo, cacchio!
Mi allungai. Voltandomi quanto bastava per tenere d'occhio il mostro inginocchiato ai miei piedi e per prendere correttamente il pugnale.
L'aria tra me e quel piccolo oggetto sembrava centro volte più densa, impenetrabile; le mie mani faticavano ad avanzare verso di esso, erano pesantemente respinte. Con un ultimo slancio feci come per appoggiarmi al muro invisibile davanti a me sfruttando il mio peso, aumentando la pressione.
Quando finalmente riuscii a stringere le dita attorno al manico lucido e finemente decorato l'impeto di gioia che esplose nella mia testa mi lasciò così confusa che nemmeno mi resi conto subito del grido scaturito dal mostro alle mie spalle.
Mi voltai si scatto, osservando la scena due mi si presentava sotto agli occhi: la mia gemella urlava di dolore, tenendosi il braccio stretto in grembo. Lo stesso che usavo per tenere il pugnale.
Solo che non l'avevo colpita. Nemmeno ci avevo ancora pensato.
Lasciai ricadere il coltello sulla scrivania, inorridita da ciò che -ne ero certa- le stava facendo.
Appna l'oggetto di separò dalla mia pelle, le grida smisero di risuonare all'interno della stanza.
La guardai tastarsi furiosamente la mano come a volersi accertare che fosse tutta intera.
Sembrava a quasi essersi dimenticata di me.
Ne approfittai per guardarmi intorno, nonostante fossi certa della completa assenza di porte. Le avrei notate prima.
Allora provai con quel trucchetto insegnatomi da Elija.
Visualizzai ogni cavolo di oggetto in quella stanza, poi passai alla Ginely, al divano rosso, al calice...
Avrei potuto rappresentare entrambi quei posti con tutti i maledetti minimi particolari.
Riaprii gli occhi, colma si speranza e ottimismo, ma entrambe quelle emozioni decisamente fuori luogo in quella situazione sparirono nel momento in cui realizzai di essere faccia a faccia con il mostro, che ghignava soddisfatto.
Merda, non è possibile!
Dopo essere stata così attenta ad evitare ogni possibile attacco gliene avevo praticamente regalato uno!
Caddi in preda all'istinto di sopravvivenza, quella piccola parte oscura e primordiale risiedente nel nostro cervello, e ciò che mi fece fare non lo dimenticherò mai, talmente temetti di essere su quella sottile linea tra il suicidio e la pazzia e di dover scegliere una fazione.
Il mio braccio ruotò all'indietro e con precisione sovrumana raggiunse il pugnale intorno al quale si strinsero meccanicamente le mie dita, con una morsa d'acciaio.
Sollevai l'altro braccio in posizione di difesa, mentre l'arto destro le conficcava la lama argentata al centro del busto.
Accadde tutto in un vortice annebbiato. Ogni mio movimento era stato surreale, come se non fossi stata io ad eseguirlo.
Ripiombai violentemente nella realtà, e mi ritrovai con in mano l'elsa del coltello la cui lama spariva nel corpo della mia gemella che aveva le labbra schiuse in un'espressione confusa.
Aveva pensato probabilmente che una volta lasciata cadere l'arma non avrei più osato riprenderla, ma si era sbagliata. Forse credeva che avesse fatto male anche a me come a lei e che quindi avessi paura a toccarla ancora.
Sembrava quasi che mi stesse chiedendo perché l'avevo fatto.
"Perché non voglio credere alla tua esistenza" le avrei risposto.
Un sottile filo di fumo mi fluttuò davanti al naso, salendo verso il soffitto bianco. Stupita abbassai lo sguardo, coprendo che la fonte era la ferita aperta, bruciata dall'oggetto all'interno di essa.
Rimossi il pugnale con un gesto secco, incoraggiata dall'assenza di sangue. Lei ondeggiò lievemente sul posto per poi esalare un respiro caldo e fetido, odorante di morte. L'ultimo, perché quando, dopo aver istintivamente chiuso gli occhi, li riaprii era sparita senza lasciare traccia.
Cacciai un profondissimo sospiro di sollievo e mi lascia cadere lungo il liscio profilo della scrivania.
Poggiai la nuca contro il legno, ma per quanto fossi tentata di farlo non chiusi gli occhi. Mi ero trovata davanti già troppe sorprese per i miei gusti.
Ero stanca, a dir poco esausta e confusa. Anche il mio corpo lo era; addirittura dai miei occhi non si era ancora tolta l'immagine della mia mostruosa gemella, che pareva sempre lì in piedi, davanti a me e con il pugnale nello stomaco.
Perché non tornavo indietro?
La prova era finita, no?
Scagliai lontano quel pugnale del cavolo e stesi le gambe. Avevo appena ucciso la mia paura, cos'altro pretendevano da me?!
A fatica decisi di rialzarmi. Volevo apparire il più decente possibile se la Ginely mi avesse fatta riapparire all'improvviso.
Avevo caldo, soprattutto al collo. Feci scendere uno degli elastici che mi portavo sempre dietro dal braccio destro e cominciai a legarmi i capelli in una coda alta. Sentivo anche l'impulso di togliermi la felpa nera che cominciava a far sentire la sua presenza, ma mi trattenni e semplicemente abbassai la zip fino al limite.
Attesi. Non so quanto, ma attesi. E io odio attendere. Sono un tipo molto impaziente, di quelli che necessitano che i propri regali di Natale vengano messi in una cassetta di sicurezza, nascosta in un caveau sepolto in qualche tipo di moderno bunker sotterraneo la cui chiave sia stata sciolta o rotta, per evitare in ogni modo che rischi di aprirli prima del necessario.
Ad un certo punto persi quel poco di pazienza che mi era rimasta.
~ Professoressa?~ chiamai al nulla. ~ Posso tornare indietro adesso?~
Niente.
Merda, che due scatole!
Gettai gli occhi al soffitto; aprii la bocca per chiamare di nuovo la Ginely, ma un flash di luce improvviso mi colse di sorpresa costringendomi a ripararmi il viso con le mani, aspettando che terminasse.
Tutto terminò così com'era arrivato, e finalmente riaprii gli occhi accorgendomi di esser tornata nella sala dov'ero prima, con la Ginely al mio fianco.
~ Scusami, Angel, è successo un piccolo imprevisto. Com'è andata?~ chiese tranquillamente.
~ I-in che senso? Non mi teneva d'occhio?~ domandai sbigottita.
Avevo sempre dato per scontato che sapesse cosa succedeva in quella stanza, che potesse salvarmi se qualcosa fosse andato storto, ma porca miseria invece non era così! Mi aveva abbandonata a me stessa!
~ Vedi una sfera di cristallo, per caso?~
~ Io... Ma allora come ha saputo che ero riuscita a superare la prova?~
~ Non lo sapevo. È una prova a tempo, questa.~
Ovvio. Ce l'avevo fatta per un soffio.
~ Ah.~ fu tutto quello che riuscii a dire.
~ È andata bene?~ chiese ancora sistemando qualche alambicco sul tavolo dove prima era stato preparato il liquido strano che mi aveva condotta dal mostro.
~ Oh, sì. A meraviglia.~ mormorai accorgendomi di avere gli occhi sbarrati.
Tentai di ricompormi, tastandomi la testa per controllare che la coda non avesse imperfezioni e sistemandomi i vestiti.
~ Ti manca solo la prova di Rufor, vero?~
~ La prova di... Ah, sì. Sì.~ balbettai un po' confusa.
Sembrava che il mio cervello stesse subendo delle interferenze, ed era molto snervante.
Rufor? Supposi che fosse Waily. Pretendeva che mi fossi già imparata i nomi di tutti?
~ Vuoi qualche minuto per riprenderti?~ mi domandò gentile.
~ No, sto bene. Ce la faccio.~ dissi mostrandomi il più sicura possibile.
~ Bene. Allora a dopo, cara.~ mi salutò.
Risposi al saluto ed uscii il più veloce possibile da lì senza guardarmi indietro. Una cosa era certa: durante le prove mi ero indubbiamente evoluta.
Me ne accorsi nel momento in cui mi voltai verso la porta dei licantropi. Ero incerta e spaventata quando ero entrata nell'aula dei demoni. Nervosa per quella degli spettri e solo intimorita per quella dei vampiri. Ora che stavo per entrare nella stanza per la prova dei licantropi sentii un'emozione nuova dentro di me, estranea a quello scenario.
Ero solo curiosa.
Non potevo negare di essere ancora scossa dalla prova dei vampiri. Scoprire che la Ginely non aveva mai saputo come la stessi cavando mi aveva sbigottita. Cristo, sarei anche potuta morire e lei l'avrebbe notato solo allo scadere del tempo.
L'illusione di essere relativamente "al sicuro" mi aveva tranquillizzata, ma se fossi stata a conoscenza del fatto che mi avrebbero lasciata del tutto abbandonata a me stessa probabilmente mi sarei rifiutata di svolgere la prova. Anche se la presenza di quell'affascinante ragazzo intento ad osservarmi forse sarebbe stato un incentivo a farmi coraggio.
Ma ormai era fatta, e grazie al cielo devo aggiungere.
Incamminatami verso l'ultima porta presi un profondo respiro, contai fino a cinque ed espirai. Non volevo entrare lì dentro apparendo tremante ed insicura, per quanto mentalmente non lo fossi. Il mio corpo non aiutava.
Mi fermai davanti alla stanza ed abbassai lo sguardo sui miei vestiti. Per fortuna non vi era traccia di sangue. Sbuffando, sistemai l'orlo della maglia a maniche corte sottostante alla felpa, tirandola in basso come piaceva a me; lisciai i pantaloni sulle gambe ed infilai i lacci bianchi all'interno delle scarpe basse.
Sembravo presentabile, ed ero psicologicamente e fisicamente pronta.
"Forza, Angy." mi dissi. "Non può accaderti di peggio."
Allungai il braccio e bussai sul legno.
Niente. Nessuna voce, nessun rumore. Solo silenzio.
Che avessi perso troppo tempo con le altre prove?
Cosa sarebbe accaduto se avessi saltato l'ultimo test?
"Merda... Dài, non può essere..." borbottai mentalmente con un forte mal di stomaco dovuto all'ansia.
Mi ero scocciata di aspettare gli altri.
Spinsi la maniglia quasi buttando giù la porta aprendola e di nuovo i miei occhi vennero abbagliati da una luce bianca e chiara, costringendomi ancora a ripararmi il viso con la mano.
C'erano degli odori particolari, ma che non avevo mai associato ad una stanza: muschio, corteccia, erba...
Quel luogo profumava come una foresta. Quasi mi sembrava di udire un cinguettio ed il frusciare delle foglie calpestate. Riuscii ad abituare gli occhi alla luce prima di quanto pensassi, ma probabilmente fu a causa della forte curiosità che provavo in quel momento.
~ Wow...~ sussurrai incantata.
Ero davvero in una foresta!
La luce di un sole dalla provenienza incerta filtrava attraverso le foglie di aceri, querce, betulle e pioppi che si estendevano fin dive riuscivo a vedere; il terreno era marrone scuro, intervallato da sporadici foglie e rametti caduti; gli animali tipici di mostravano appena, facendomi addirittura dubitare di averli visti davvero ed i passeri saettavano tra le chiome degli alberi, attirandomi con il loro canto delicato, come stessimo giocando.
Mi voltai, cercando di vedere come potesse apparire una porta nel bel mezzo di quel paesaggio stupendo, ma dietro di me non vi era nulla se non foresta.
Niente legno patinato, maniglie o cardini. Solo pura natura incontaminata.
Cominciai a ruotare su me stessa, cercando una qualunque via d'uscita, ma se c'era non riuscivo a trovarla.
Un dolore in mezzo allo stomaco fu il segnale che testimoniava il mio pieno ritorno in quell'orrido stato di ansia e panico, ma anche di incertezza.
Era quella la prova? Cercare la via d'uscita?
Be', potevano anche degnarsi di mettere un cartello, cacchio.
Che facesse parte della prova o meno, dovevo uscire. Non avevo intenzione di nutrirmi di corteccia per sempre visto che mai e poi mai avrei ucciso un qualunque essere vivente per cibarmene.
M'incamminai nella direzione opposta a quella da dove ero venuta, cercando un qualsiasi segno di presenza umana.
Per quanto ci provassi non riuscivo a vedere il sole. Tutta la foresta era illuminata allo stesso modo, dunque non c'erano ombre né muschi sui tronchi.
Era tutto strano lì dentro, in quel facsimile di una foresta come quella nella quale avevo incontrato Elija.
Non so dire quanto camminai, perché nulla -né la luce né la temperatura- segnalavano l'avanzare del tempo.
Fermatami, alzai lo sguardo su una quercia alla mia destra. Era più alta rispetto alla media degli altri alberi, dunque l'ideale per avere una maggior visibilità sulla zona.
In effetti era proprio quello che cercavo; ma la domanda era un'altra: sarei riuscita a salire fin lassù?
Insomma, con Elija ci ero riuscita abbastanza facilmente, senza considerare la paura che avevo, ma le tre prove precedenti mi avevano sfiancata e non sapevo se ce l'avrei fatta ancora.
Tentar non nuoce, dicevano.
In quel momento realizzai quanto fosse falso.
Mi allontanai di una ventina di metri dal tronco possente e cercai il ramo più stabile che c'era.
Ammesso che fossi riuscita a salire non intendevo certo cadere a causa del mio peso lievemente sopra la media.
Era abbastanza in alto, ma non impossibile da raggiungere. Almeno speravo.
Si estendeva verso la mia destra, dritto per quasi tutta la sua lunghezza e zigzagante per l'ultimo tratto.
Calmai il respiro già alquanto agitato per vedere si concentrarmi.
"Dai, Angy... Non è niente di che. L'hai già fatto dopotutto." mi dissi.
Ripercorsi l'ultima volta che avevo fatto una cosa del genere. Cavolo, mi era sembrato così facile!
Ma ero con Elija. Tutto fatto con lui vicino appariva un gioco da ragazzi per quanto non riuscissi a spiegarmene la ragione. Dubito di aver anche solo compreso ciò che stavo facendo quel giorno. Non mi ero concentrata né ci avevo ragionato su prima di arrampicarmi per poi lanciarmi dall'albero, e certamente per colpa di quel ragazzo.
Sembrava che creasse delle interferenze all'interno della mia testa; non riuscivo a pensare accanto a lui.
Be', potevo farcela.
Mi dondolai un po' sulle punte, scacciando Elija dalla mia testa dove, in tutta sincerità, era stato per fin troppo tempo e presi la rincorsa.
I cespugli e i tronchi mi saettavano vicino in grosse macchie offuscate, mentre il mio obbiettivo restava chiaro e nitido davanti a me.
Il tronco si avvicinava sempre più in fretta; l'aria mi sferzava il viso ma i miei occhi restavano aperti; dosai i passi, ancora quattro, tre, due, uno...
Saltai, con il polpaccio destro che pareva aver preso fuoco per lo sforzo, e afferrai la ruvida superficie sconnessa premendogli le dita sopra.
Rimasi stabile per un momento, poi scivolai verso il basso di qualche centimetro sufficiente a farmi prendere un infarto.
~ Mer...da.~ ringhiai con i palmi delle mani che bruciavano.
Puntai i piedi e le ginocchia, strinsi la presa delle dita e compressi i gomiti contro il legno.
Adesso ero stabile, ma il ramo che doveva essere il mio punto d'arrivo era almeno due metri più in alto.
Sapevo che non avrei resistito ancora per molto, quindi urgeva che mi dessi una mossa.
Gli incitamenti che mi venivano urlati dalla voce nella mia testa apparivano stupidi ed irritanti. Soprattutto irritanti, ma visto che la mano con la quale mi sarei volentieri data uno schiaffo era impegnata a fare altro ero obbligata a sopportarla.
Mi spinsi in alto con la gamba sinistra mentre con lo stesso braccio tentavo di allungarmi fino ad una protuberanza legnosa che forniva un ottimo appiglio riuscendo ad afferrarla. Non era il massimo come presa, ma sempre meglio della superficie del tronco. Gemendo per lo sforzo mi issai ancora più in altro con meno difficoltà rispetto allo sforzo precedente e salii si quasi un metro. Il ramo non era troppo lontano, se avessi teso un braccio l'avrei raggiunto di sicuro. Tutto stava nel riuscirci.
Cominciavo a sentire chiaramente dei sottili rivoli di sangue scivolarmi tra le dita, solleticandomi quella poca parte di epidermide che non veniva graffiata dolorosamente dalla ruvida corteccia.
Dovevo darmi una mossa; i muscoli di gambe e braccia mi tremavano convulsamente per lo sforzo mentre inguine e fianchi dolevano altrettanto se non di più.
Mi spinsi un'ultima volta con le gambe, scivolando verso il basso di qualche centimetro ma una forte ed improvvisa scarica di adrenalina mi gettò in alto, in un gesto a dir poco folle.
Saltai e raggiunsi il ramo con la mano destra che vi su chiuse intorno quasi meccanicamente, serrando palmo e falangi sul legno.
Ebbi l'impressione che la parte inferiore del corpo mi si sciogliesse talmente fu forte il sollievo dovuto al terminare della presa sul tronco.
Reggere il mio peso solo con le mani sembrava dieci volte più facile rispetto alla fatica di prima.
Mi issai in alto, appendendomi anche con le braccia al ramo e mi lasciai dondolare nel vuoto poggiando la testa dal collo dolente sugli avambracci.
Presi fiato nel patetico tentativo di riuscire a recuperare le forze prima di gettare una gamba al di là del ramo e salirvi sopra, saggiandone la stabilità.
Non si era piegato per nulla e la cosa mi rassicurava molto. Peccato che commisi l'errore di mandare un'occhiata in basso, al suolo bruno distante almeno una dannata ventina di metri.
~ Merda!~ strillai voltandomi con gli occhi chiusi, prima di ricordarmi che mi trovavo su un ramo e la vista era decisamente necessaria.
Sospirai stando ben attenta a non guardare di nuovo sotto ai miei piedi, e mi misi a cercare un altro ramo ancora più in alto per avere una visuale ancora più estesa.
Era esattamente sopra di me, a circa mezzo metro di distanza.
Visto che ero riuscita a saltare per venti metri farlo per altri sessanta centimetri non sarebbe stato un dramma.
Percorsi la sottile superficie dove mi trovavo avvicinandomi al fusto.
Puntai un piede sulla corteccia e mi spinsi in alto, afferrando il ramo soprastante con le mani.
Issatami anche su quello, non persi tempo e diedi subito un'occhiata nell'area circostante.
Non c'era niente. Foresta e solo foresta mi circondava.
Una certezza s'insinuò nella mia mente: potevo anche arrampicarmi per cento metri, ma ciò che avrei visto sarebbe stato sempre quello.
~ Sono fregata, cazzo!~ ringhiai appoggiando la schiena al tronco.
Come avrei fatto ad uscire di lì?
Aspetta... Il cellulare! Forse potevo chiamare qualcuno!
Ormai mi ero abituata alla forma del mio telefono nelle tasche e spesso finivo a cercarlo dappertutto per poi ricordarmi che era sempre stato lì, premuto contro il mio fianco.
Scorsi la rubrica.
Famiglia da escludere. Cosa potevo dirgli? Che mi ero persa in una foresta dentro al college dove loro mi avevano mandato, tanto per sottolineare quello di cui li aveva convinti Elija?
Elija... Certo, figurati se mi aveva dato il numero. Nemmeno io l'avevo chiesto, ma cacchio come potevo immaginare che sarei finita in un guaio simile?
Ero persa in mezzo al niente, senza nessuno ad aiutarmi né la minima idea di come andarmene. Che belle situazione del cavolo.
Stavo morendo di caldo, però non osavo togliermi la felpa. Non sapevo dove fosse il sole, ma ero certa che non si era mosso e dunque non avevo alcuna intenzione di ustionarmi.
Mi sedetti sull'intersezione tra il mio ramo ed uno adiacente più sottile, tirai su il cappuccio per non sporcarmi i capelli e poggiai la testa al fusto della quercia.
Ero stanchissima. Avevo camminato per molto tempo anche se non riuscivo a quantificarlo e la fame cominciava a farsi sentire.
Io ho sempre amato mangiare; è il mio "vizietto" più grande.
Non so cosa fare? Controllo la dispensa.
Sono arrabbiata, triste, annoiata, depressa, furiosa con tutto e tutti? Cibo a me.
Non sono il tipo che distribuisce cioccolata, merendine, caramelle e salatini sul letto e che non si muove finché non ne rimane nulla, ma mangiare mi ha sempre dato lo stesso sollievo del praticare sport, solo che la cucina è ad una sala di distanza mentre la mia palestra in un altro quartiere.
Ora il mio vizietto mi stava uccidendo.
Chiusi gli occhi e canticchiai la prima canzone che mi veniva in mente per tentare di rilassarmi e non cedere al panico.
"You can say what you want about me..."
I rumori intorno a me si fecero più forti, o forse ero solo io che ascoltavo invece di sentire e basta.
"...Wanna do what you want to me..."
Un piccolo stormo di uccelli svolazzò via dal mio albero, probabilmente attirato da qualcosa.
"...But you cannot..."
L'albero intero vibrò lievemente.
"...Stop me."
~ Ehi!~ esclamò una voce maschile alquanto vicina a me.
Gridando per lo spavento spalancai gli occhi, ebbi uno scatto isterico trovandomi un ragazzo davanti alla faccia e volai giù dal ramo, cadendo rovinosamente di schiena.

Mezz'essereWhere stories live. Discover now