CAPITOLO 46:

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~ ANGEL!~ sbraitò Dristen dietro di me.
Solo quando udii il suo grido realizzai che aveva cercato di fermarmi più volte, ma la mia mente era stata sorda alle sue parole.
~ CHE COS'HAI FATTO?!~ urlò afferrandomi per le spalle.
Mi ripresi a poco a poco, tornando alla realtà.
~ I-io...~ balbettai.
Non ero sconvolta dal mio gesto, ma dal lampo di furia cieca che si era impossessato di me prima che lo compissi.
~ Angel!~ ripeté lui, stringendo un po' più forte.
~ Scusa!~ strillai. ~ Mi ero arrabbiata!~
~ Non è in questo modo che risolverai le cose!~
~ Lo so! Scusa!~
Non avevo mai visto Dristen così... non calmo. Aveva gli occhi un po' sbarrati e la bocca leggermente aperta che lasciava intravedere i denti bianchi.
La sua agitazione mi contagiò in un battito di ciglia; il panico si impossessò di me, mi ritrovai a tremare visibilmente con un portentoso mal di pancia da stress che iniziava a farsi sentire.
~ Non devi pensare a me. Preoccupati solo di te stessa. Ti sto pregando, Angel.~ disse.
~ Va bene...~ mormorai.
~ Promettilo.~ ordinò. Lampi scuri gli uscivano dagli occhi.
Annuii. ~ Lo prometto.~
~ Io non ti potrò più proteggere. Devi stringere i denti e fare come ti dicono. Non provocare Baeron.~ scandì.
Memorizzai le sue parole; qualcosa mi diceva che mi sarebbero servite parecchio, soprattutto ora che avevo lanciato Elija fuori dalla finestra.
~ Non dimenticare chi sei. Ascolta Mailor, fidati di lui e dei suoi consigli.~ continuò. Il suo sguardo era agganciato al mio.
Annuii di nuovo. Mi si era seccata la bocca e iniziavo a sentire lo stesso malessere che mi era preso prima quando stavo affrontando per la prima volta l'abbandono di Dristen.
Allentò la presa sulle mie spalle. ~ Davvero, Angel.~ disse abbassando il tono di voce. ~ Comportati bene.~
~ Lo farò.~ promisi.

Per qualche strana ragione mi sentivo meglio ora che tra noi si era stipulato quell'accordo; mi sembrava quasi di aver creato come un legame indissolubile con lui che mi avrebbe aiutato nei momenti più difficili, anche se Dristen fosse stato lontano.
~ Ora cosa faccio?~ gli chiesi. La mia voce tradiva la mia preoccupazione, avevo bisogno di un suggerimento.
~ Resta qui per un po'.~ mi disse, tornando finalmente il solito, calmo e rilassato Dristen.
~ Va bene. E poi?~
~ Segui l'istinto. E non pensare a me. Starò benissimo.~
Poi fece l'ultima cosa che mi sarei aspettata: chiuse le braccia dietro la mia schiena e mi abbracciò. La scioltezza con cui lo fece mi spinse a restituirglielo con naturalezza, allo stesso modo che avevo usato con mio padre però il suo abbraccio invece di mettermi tristezza mi diede forza e coraggio. Il pensiero di averlo al mio fianco anche se lontano mi fece sperare che davvero sarebbe andato tutto bene.
~ Me ne devo andare ora.~ disse senza però separarmi da lui. ~ Ho fiducia in te.~
~ Grazie.~ risposi con la guancia ancora spinta contro il suo petto.
Non esisteva un'altra parola che potesse esprimere meglio ciò che stavo provando; la mia inquietudine, i miei timori e le mie speranze oltre che la mia enorme gratitudine nei suoi confronti. Non mi aveva dato chissà quali consigli, ma erano stati profondamente necessari anche solo a darmi un briciolo di speranza in più. Sapevo che lui era dalla mia parte e questo bastava.
~ Andrà tutto bene.~ mormorò.
Alzai lo sguardo sui suoi occhi e realizzai che non mentiva. Sarebbe davvero andato tutto bene.
Un sorriso dalla provenienza ignota mi spuntò sulle labbra, e si rifletté sulle sue. Annuì incoraggiante un'ultima volta e una manciata di secondi dopo era uscito dalla stanza.
Nonostante mi sentissi più fiduciosa avevo comunque il bruttissimo presentimento che non l'avrei mai più visto.
Chiusi gli occhi e cercai di fare mente locale; Elija avrebbe sicuramente cercato di farmi fuori alla prima buona occasione, e non avevo nessuna certezza che Baeron mi avrebbe protetta. Cosa potevo fare?
Prima di tutto chiusi la porta a chiave. Era una protezione a dir poco ridicola ma mi fece comunque sentire meglio. Poi mi resi conto di essere davvero esausta da tutti quegli avvenimenti, troppo esausta per pensare alle mie prossime azioni.
Gli occhi mi pizzicavano, un segnale inconfondibile che di lì a poco avrei allagato la camera. Cercai lo stesso di ricacciare indietro le lacrime, almeno momentaneamente, per prendermi qualche momento di lucidità per tranquillizzarmi.
Una leggera brezza entrò dalla finestra squarciata provocandomi un brivido. Un'idea orribile mi si formò nella mente e pur essendo molto reticente decisi di seguirla; mi avviai verso la finestra con l'intento di guardare di sotto. Volevo vedere se Elija era ancora laggiù o se qualcuno l'aveva portato dentro per soccorrerlo.
Scostai alcuni pezzi di vetro dal pavimento con i piedi e mi sporsi lievemente; non sapevo dove fosse caduto ma non riuscendo a vedere nulla immaginai che qualcuno l'avesse aiutato.
Mi domandai cosa avrei fatto se invece fosse stato ancora là. Se lo avrei soccorso o meno.
Ad una parte di me piaceva credere che sarei stata caritatevole abbastanza da scendere da lui, ma la realtà era un'altra. Sarei stata ben contenta di lasciarlo là per giorni interi, e probabilmente non avrei avuto problemi di coscienza.
Con questo pensiero in testa mi chinai e iniziai a raccogliere i frammenti di vetro. Non ce n'erano molti, la maggior parte doveva essere finita fuori dalla finestra.
Sentivo il bisogno di tenermi impegnata, di distrarmi, per non pensare al fatto che davvero ero rimasta sola.
Tirai su col naso e subito mi ripetei di non piangere. Non potevo permettermi di farlo perché avrebbe dimostrato che avevo perso la fiducia e la speranza che solo pochi minuti prima Dristen mi aveva detto di non abbandonare.
Quando anche tutte le schegge più piccole furono sulla mia mano mi rialzai e le gettai stando attenta a non tagliarmi. Un'altra brezza, più fredda della precedente, entrò nella stanza. Iniziavo a pentirmi di aver rotto la finestra, ma finché si trattava di aria fredda andava tutto bene. Il vero problema si sarebbe presentato se avesse cominciato a piovere.
Il rumore del vento che sbatacchiava le foglie degli alberi che per chilometri circondavano la torre era forte e persistente ma non mi infastidiva affatto. In un certo senso era una distrazione, attutiva la voce nella mia testa dandomi un po' di sollievo, così lo accolsi con gioia.
Ritornai alla finestra e mi poggiai contro la parete; mi era sempre piaciuto guardare gli alberi ondulare spinti dalla forza del vento. Da piccolina mi piaceva immaginare che si stessero inchinando alla gente che passava e che le foglie fossero tante piccole manine che salutavano. Ora che ero cresciuta quelle immagini non sfioravano nemmeno i miei pensieri, ma grazie ai ricordi continuavo a provare le medesime sensazioni.
Chiusi gli occhi per oscurare la vista e privilegiare l'udito; una cosa che mi piaceva di quel luogo -e anche l'unica, probabilmente- era la vegetazione che circondava la torre e che si estendeva a perdita d'occhio. I suoni che produceva erano delicati e rilassanti, sia di giorno che di notte, ma ora venivano sovrastati dalla corrente che non aveva smesso per un solo istante di soffiare.
Scoprii che le mie speranze si erano avverate prima ancora di quanto avessi immaginato in quanto non sentivo più le lacrime puntellarmi gli occhi per sgorgarmi sulle guance, il groppo alla gola si era parzialmente ridotto e il mal di pancia sembrava essersi quasi dissolto.
Iniziai a credere che sarei riuscita a uscirne, che, qualsiasi cosa fosse quella strana storia in mezzo alla quale mi ero ritrovata, si sarebbe risolta per il meglio.
Decisi di sorridere, a nulla e a nessuno ma solo per me stessa, per farmi sentire meglio e magari cacciare via del tutto il malessere che si era impossessato di me. All'inizio non lo sentivo naturale quel sorriso, mi sembrava vuoto e falso, ma a poco a poco cominciò ad assumere significato e valore diventando un sorriso a tutti gli effetti, dotato di quelle piccole impercettibili e indescrivibili cose che lo distinguono da una semplice contrazione muscolare.
Sperimentai un genuino senso di pace come non mi succedeva da mesi, e lasciai andare un sospiro liberatorio. Mi godetti quella serenità per un paio di minuti, poi sobbalzai nel sentire quella che sembrava una mano poggiarsi sulla mia spalla sinistra.
"Dristen!" pensò con gioia il mio stupido cervello invece di allertarsi. Con il senno del poi era chiaro come il sole che quello non sarebbe mai potuto essere Dristen. Quella mano stringeva troppo.
Mi voltai con ancora il sorriso sulle labbra, ma questo si congelò come il sangue nelle mie vene quando al posto di Dristen mi trovai davanti un preoccupantemente furioso Elija, con il viso coperto di sangue.
Riuscii solo a notare i bagliori terrificanti che mandavano i suoi occhi. Attiravano lo sguardo come una candela accesa in una stanza completamente buia, e non potevo smettere di guardarli.
Prima che me ne rendessi conto alzò un braccio e, afferrandomi per il collo, mi fece sbattere la testa contro al muro alle mie spalle.
Crollai a terra subito dopo; mi sembrava di avere il cranio aperto in due e ad ogni colpo di tosse che davo a causa della botta ricevuta sulla gola la mia testa pulsava. Un dolore lancinante mi esplose in tutto il corpo, ma nonostante questo riuscivo a percepire qualcosa di caldo che mi colava lungo la nuca.
Avrei voluto dire qualcosa, ma anche se mai fossi stata in grado di calmarlo con delle parole non ero fisicamente in grado di parlare.
Puntellandomi sui gomiti sollevai la testa, gemendo per il dolore che quel semplice movimento comportava. Nel momento in cui entrai di nuovo in contatto con i suoi occhi si abbassò di scatto, velocemente come non l'avevo mai visto fare, e la sua mano riprese il posto di prima intorno alla mia gola.
"Adesso mi ammazza" pensai mentre schiacciando le unghie contro la mia pelle iniziava a tirare verso l'alto.
Tentai di oppormi, di fargli aprire le dita o di spingerlo via, ma mi teneva in scacco comprimendomi crudelmente la gola. Non c'era modo possibile di spostare anche solo di pochi millimetri la mano che mi stava lentamente facendo soffocare. Neanche una minima quantità d'aria riusciva ad arrivarmi ai polmoni e lo stato di panico in cui mi trovavo non mi aiutava.
Ero contro al muro, faccia a faccia con lui. Tentai di stendere le gambe fino al pavimento per togliere il mio peso dalla gola ancora stretta nella morsa di ferro, ma se ne accorse, e senza il minimo sforzo mi spostò ancora più in alto.
Il vento iniziò a urlare più forte nella foresta fuori dalla torre, talmente forte da coprire i miei gemiti gorgogliati.
Ormai mi restava davvero poco; iniziai a scalciare con tutta la forza che ero in grado di trovare, ma nonostante sentissi l'impatto delle mie gambe con il suo stomaco, le sue costole e anche con parti ben più delicate non sembrava percepire nessuno di essi.
Era spaventoso. Il suo viso era quasi interamente coperto di sangue, così come le sue braccia e le sue mani, ma non un singolo muscolo si contrareva; non batteva le palpebre, non muoveva le labbra. Sembrava che fosse diventato una macchina con un solo obiettivo: uccidermi.
Non smisi di scalciare solo perché era l'unica cosa che mi era possibile fare, per quanto sembrasse inefficace. Le mie dita non riuscivano a fare presa sulla sua mano così come i miei calci non sembravano infliggergli alcun male.
Ormai avevo gli occhi socchiusi; fissavo il suo viso attraverso una sottile fessura e la sola cosa a cui ero in grado di pensare era che almeno avevo avuto l'occasione di rivedere mio padre e Alina prima di morire. Ero stata abbastanza fortunata da giocare con lei un'ultima volta e da dare a mio padre un ultimo abbraccio.
Con quel pensiero ben stretto al cuore chiusi gli occhi del tutto.
Continuavo a calciare più forte che potevo ma ormai di energia me n'era rimasta poca. Il dolore che sentivo al petto era indescrivibile e insopportabile; la disperazione con cui i miei polmoni reclamavano aria mi faceva sentire come se un camion mi stesse passando sopra al torace e alla gola. Le lacrime mi bagnavano il viso, non so bene se di dolore o di tristezza.
Un gelo improvviso attraversò il mio corpo, diffondendosi in pochi istanti. Chiedendomi se fosse dovuto al clima o al mio soffocamento smisi di calciare. La testa finì a ciondolare in avanti, appoggiata contro la mano di Elija. Le braccia sbatterono contro al muro e mi finirono lungo i fianchi.
Smisi di pensare.

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