PROLOGO

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MIHAI

Dodici anni prima,

quella sera.

L'unico rumore che sentivo era l'insistente battere del mio cuore che spingeva per distruggermi il petto e liberarsi di emozioni che non riuscivo a reggere. Paura, panico e dolore, un dolore incommensurabile continuava ad accoltellarmi l'anima senza darmi pace, neppure un secondo di quiete, sentivo di star per esplodere ma non riuscivo ad urlare. Le parole mi si attorcigliavano in gola in un nodo che mi bloccava il respiro nei polmoni, senza più far arrivare ossigeno alla testa dove il mio solito ragionevole controllo stava combattendo con un forte e straziante senso di impotenza.

I minuti passavano, il tempo scorreva come il corso di un fiume in piena dove l'acqua incontrollata strabordava dalle rive per travolgere tutto ciò che si accostava ad essa, eppure quelli che forse erano minuti per me sembravano solo un susseguirsi di secondi impossibili da frenare in quell'esatto istante in cui le mie mani si stavano sporcando sempre più del sangue di errori altrui. La mia mente non riusciva a pensare, davanti ai miei occhi una vita cessava di esistere ed io avrei fatto qualsiasi cosa pur di cedergli la mia anima per farlo tornare a respirare. Respiro che ormai aveva abbandonato le sue labbra screpolate da cui non trapelava neppure un fruscio lontano, la sua carnagione sbiancava sempre più mentre il colore amaranto del suo sangue continuava a filtrare tra le mie dita che premevano sulla sua ferita per far sì che smettesse di sanguinare e che si potesse salvare.

Se solo fossi arrivato in tempo, è la frase che continuava a farsi da eco tra i miei pensieri aumentando l'ansia che mi faceva tremare le mani premute contro il suo dolore, anche se ormai lui non ne sentiva neppure più di sofferenza. Non mi ero mai sentito così incapace, inutile, impotente, tra le braccia stringevo un corpo esanime che ormai non rispondeva neppure più alla mia voce spezzata che a intervalli di pura paura pronunciava in un flebile sussurro il suo nome. Non potevo perderlo, non anche lui.

Il coltello che avevo estratto dal suo taglio giaceva a terra sporco del suo sangue, sporco delle mie impronte, macchiato però alcun tempo dalla colpa di un atto tanto spregevole per la quale avrei combattuto ogni giorno della mia vita pur di vendicarlo. Me la pagherà cara, mi promisi ma in quell'istante nella mia testa non vi erano piani futuri, osservavo un'anima spegnersi, come avrei potuto anche solo ipotizzare a cosa fare all'indomani?

La mia corazza si stava spezzando in frantumi, ero conscio che a quel mondo nulla avrebbe mai fatto più male di perdere una persona cara per me, e difatti vederlo spegnersi tra le mie braccia mi stava a sua volta uccidendo riducendo le mie preghiere a sospiri concitati e silenziosi. Non sapevo come agire, dovevo bloccare l'emorragia, dovevo chiamare aiuto, dovevo andare a cercare il bastardo che aveva fatto del male ad una delle poche persone che amavo più di me stesso. Eppure il mio corpo rimaneva fermo, impietrito dalla paura di perderlo, tanto che mi sentii un misero bastardo quando una lacrima abbandonò la mia guancia per cadere a terra e sporcare della mia sofferenza il pavimento in legno, per celarsi nel mare di sangue che continuava a sgorgare dal taglio che portava al fianco. I suoi occhi erano vitrei, privi del colore luccicante che li rendeva uno spettacolo da ammirare, un angolo di conforto in cui rifugiarsi e un libro di avventure che ti distraeva di continuo. Non era più lui, perchè lui ormai non c'era più.

Singhiozzavo distrutto sentendo di non meritare quella possibilità, non meritavo di piangere, come potevo macchiare quel sangue della sofferenza che mi stava dilaniando, quando messa in confronto a ciò che aveva provato lui non era neppure un briciolo? Gli stavo mancando di rispetto ma non riuscivo a smettere, ormai avevo completamente abbandonato ogni mia forza, ogni impassibilità e apatia per lasciarmi andare alla sofferenza più grande a cui tutti un giorno saremmo andati in contro. Ma mai avrei sperato che lui ci arrivasse così presto. <<Henry.>> Sussurrai con un filo di voce che sembrò un misero fruscio lontano e ovattato di vento, mi sarei strappato il cuore per far tornare a battere il suo, aveva solo vent'anni cazzo, non poteva andarsene, non lui che meritava dalla vita la sola faccia della medaglia felice e perfetta. <<Resta con me ti prego.>> In ginocchio lo pregavo di non andarsene, di non seguire quella luce calda e abbagliante che tanto lo stava attraendo, ma ormai era tutto inutile, quando poggiai la fronte contro il suo petto sporcando i suoi vestiti con le mie lacrime non riuscii neppure a percepire il lontano rumore dei suoi battiti. Tutto era ormai spento, lui era morto. <<No! Henry guardami cazzo!>> Le mie mani macchiate gli cinsero il viso per scuoterlo e farlo tornare da me, dalla sua famiglia, da sua sorella, da tutta la gente che lo amava ma lui egoisticamente ci stava abbandonando tutti ed io altalenavo nella mia testa i miei dubbi tentando di infondergli colpe che non nutriva. Lui era la sola vittima in tutta quella merda.

Painful melody Where stories live. Discover now