CAPITOLO 22

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KEIRA

Dodici anni prima...

Quel viaggio era diventato un sogno da cui non mi sarei mai voluta svegliare, era tutto così perfetto che a stento credevo che lo stessi vivendo sul serio. Non vi erano più barriere per me, in quei pochi giorni stavo conoscendo la vera me stessa e mi piaceva da impazzire ciò che potevo essere, libera, felice, spensierata, volevo vivere una vita così.

La sera prima fuggivamo da una discoteca per non farci vedere dalle guardie dei miei genitori, che erano venute a prendermi e il giorno dopo ero un mezzo alla meravigliosa New York con i miei amici senza dover pensare a nulla se non a cosa mettermi per il concerto che ci avrebbe atteso quella stessa sera. Vivere così era emozionante, adrenalinico, libero e spensierato, tutti i modi con i quali avrei voluto affrontare il destino senza farmi più alcun problema. Avevo sedici anni e c'era voluto un ragazzo dalla fama internazionale e un animo buono per mostrarmi cosa mi stavo perdendo, mi stava mostrando come vivere gli anni migliori della mia vita.

Giravamo tra gli altissimi palazzi di quella città pazzesca e in qualche modo mi sentivo a casa. Tutti quei negozi di alta moda, i grandi schermi pubblicitari che ricoprivano i grattacieli, le strade ricolme di gente e la gente che ogni tanto ci riconosceva e ci fermava per un autografo. Era pane per i miei denti, una parte della mia quotidianità che non avrei mai desiderato di abbandonare.

Ridevamo e scherzavamo guardandoci intorno con tranquillità, nell'aria si respirava una calma deliziosa che ovattava i pensieri cattivi per far risalire a galla solo quelli felici. Un'armonia onirica di cui stavo diventando dipendente.

La mia mano si nascondeva in quella del ragazzo alto dalla bellezza virile accentuata dai Rayban neri che indossava, si guardava intorno con quel sorriso brillante sul volto e il sole che splendeva su quelle sue ciocche bionde tenute sciolte e libere al venticello fresco che tirava. Era una bellezza per gli occhi altrui e un regalo per i miei. Quella maglia bianca spiccava come una spennellata su una tela nera, su quelle braccia prendevano vita tatuaggi che ricoprivano la sua pelle ambrata come ombre di inchiostro che si intrecciavano lungo quei bicipiti gonfi, scendendo poi sugli avambracci tonici per raggiungere le mani. La mia e la sua a confronto erano totalmente diverse, sia di grandezza che per il colore della nostra pelle, la mia era chiara come la neve, la sua più ambrata, poco più scura e ricoperta di scritte.

Ma per quanto potessimo sembrare diversi, l'uno accanto all'altra eravamo perfetti.

Ci intendevamo anche senza accorgercene.
Usciti dal meraviglioso Hotel che ci stava ospitando per il poco tempo che ci saremmo fermati a New York, ci siamo incamminati nel centro città per visitare un po' meglio, cosa che invece non avevamo avuto il tempo di fare a San Francisco, ma chi poteva saperlo, magari un giorno ci saremo tornati.

Mihai mi stava accanto, con la sua camminata decisa e spavalda, viverlo durante la sua quotidianità era qualcosa di meraviglioso, non viveva un secondo di sofferenza durante le sue giornate, le trascorreva con il sorriso sul volto, fregandosene di tutti i problemi che potevano esserci.

Svegliarmi con lui accanto era ancora meglio, dormiva stringendomi a sè e passavamo intere ore a parlare mentre ci preparavamo per la giornata, era un tipo che raccontava tutto di sè, non gli interessava del giudizio altrui e conoscerlo meglio mi stava piacendo. Lui mi piaceva, davvero.

<<Oh mio Dio! Voglio quelle scarpe.>> Stefany si appiccicò ad una vetrina come una ventosa e trascinò anche me con sè, rubandomi al ragazzo che mi stringeva la mano. Mi era mancato poter andare a fare shopping con lei, non passavamo del tempo tra ragazze da veramente tanto ed era triste come cosa, avrei voluto poter tornare a trascorrere più momenti in sua compagnia.

Painful melody Kde žijí příběhy. Začni objevovat