CAPITOLO 29

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MIHAI

Oggi...

C'erano alte probabilità che ciò che stavo, o meglio, stavamo facendo fosse l'ennesimo errore che ci avrebbe portati a pentirci di averlo anche solo pensato, ma in fondo quel momento sarebbe comunque arrivato presto o tardi quindi scappare era inutile. Anche perchè non era di certo nella mia indole.

Non riuscivo a non sentire comunque quel velo di nervoso che mi infastidiva i pensieri. La mia quiete da quel momento si sarebbe spezzata, il mio silenzio sarebbe stato inondato dal caos e io sarei tornato ad una vita che non mi apparteneva più. Non ero più in grado di gestirla, di controllarla, non la conoscevo più.

Tra quei alti palazzi, i fiumi di gente sui marciapiedi, le colonne di macchine lungo le strade, il chiacchiericcio di parole buttate al vento senza alcun peso da bocche che come ogni giorno respiravano un'aria impregnata di smog. Dopo aver conosciuto la pace della cittadina in cui risiedeva mio fratello con la sua famiglia, avevo ormai capito che quella città così piena e confusionaria non faceva più per me.

Non avevo più bisogno della bella vita, della fama, del successo. Mi erano bastati pochi mesi per comprendere che nella vita vi era molto altro oltre a quelle banalità. Un semplice lavoro da manovale, una casa in prateria, uno stipendio come gli altri e persone intorno a te che non ti guardavano come fossi chissà quale divinità, facendoti sentire costantemente al centro dell'attenzione. Era quello che desideravo e niente più.

Ma prima di buttarmi a capofitto in quella vita monotona e invisibile che tanto ammiravo, vi erano parecchie cose da dover sistemare. Un passato di segreti e bugie, una carriera lasciata in pausa e una fama da abbandonare.

Dentro di me ancora sopravviveva un tassello che si incastrava perfettamente con quella vita, il resto di ciò che ero diventato cozzava pienamente con ciò che i miei occhi stavano osservando dal finestrino della macchina di mio fratello.

Un tempo ero stato il re di quelle strade, di quella gente, di intere città persino al di fuori della California.

Mentre in quel momento, tornando a quella vita, sentivo di non appartenere neanche più a me stesso.

Un leggero peso si appoggiò contro la mia spalla distogliendo la mia attenzione dai ricordi e gliene fui grato, continuare a rivangare il passato avrebbe soltanto reso tutto più complicato.

Abbassai lo sguardo e la vidi.

Eravamo partiti presto quella mattina, prima saremmo arrivati nella nostra vecchia abitazione, prima saremmo riusciti a sistemarci senza farci notare troppo da qualche giornalista. Difatti erano si e no ancora le otto e lei sonnecchiava tranquilla e rilassata contro la mia spalla, con quel viso angelico leggermente corrucciato, quelle labbra rosee schiuse dai sospiri silenziosi e quegli occhioni miele chiusi e contornati dalle folte ciglia lunghe di un nero intenso. Era bella anche mentre dormiva.

L'avevo invitata a venire con noi e non me ne pentivo affatto. Lei era l'unica a ricordarmi la quiete di quel paesino lontano dalla città, riusciva a capirmi per quanto anche con lei avessi dovuto affrontare qualche scontro. Era la mia versione al femminile, o per lo meno la versione del "me stesso" che avevo abbandonato. Quel Mihai raggiante e sempre allegro, in pace con la vita e voglioso di avventura. Lei era così e probabilmente era il fatto che mi ricordasse un po' chi ero, a farmi avvicinare così tanto a lei anche se era la cosa più sbagliata che potessi fare. Non per me bensì per lei, ma lo faceva sembrare così facile e giusto che semplicementelasciavo che accadesse, che si avvicinasse cauta e con piedi di piombo lasciandomi conoscere chi fosse.

Sarebbe stata a casa con noi, Jacob ormai la adorava e mio fratello sembrava averla accettata volentieri. L'unica a storcere il naso era Stefany, il chè non mi stupì per niente ma conoscendola meglio avrebbe imparato ad apprezzarla anche lei. Doveva solo scostarsi dalle sue sicurezze.

Painful melody Where stories live. Discover now