CAPITOLO 24

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KEIRA

Dodici anni prima...

Le sue mani mi accarezzavano la pelle con la stessa delicatezza con cui l'acqua ci avvolgeva entrambi, la sua voce nell'orecchio mi lambiva la mente nello stesso modo con cui quell'arietta fresca della notte pettinava i capelli dalle punte immerse nell'acqua di quella vasca idromassaggio. Più tempo passavo lì, seduta tra le sue gambe con la nuca poggiata al suo petto nudo, più capivo che dargli una possibilità era stata la scelta migliore che potessi prendere. Stare in sua compagnia mi faceva bene, mai nella mia vita mi ero rilassata e avevo gioito come era successo in quei pochi giorni con lui, mi capiva e io capivo lui, non vi era altro dettaglio che servisse ad entrambi per star meglio. Star bene però con lui mi riempiva comunque la testa di dubbi, non capivo se fosse giusto, ma alla fine cos'era veramente giusto.

Ero cresciuta tra letture di amori tormentati come quello di Romeo e Giulietta, Mr Rochester e Jane Eyre, Noah Calhoun e Allie Nelson. Avevo letto di coppie consumate da un tale sentimento che portava tanto piacere quanto dolore e io non volevo soffrire, non trovavo giusto che prima o poi quel paradiso tramutasse in un inferno di fiamme tormentate e lacrime sprezzanti. Perchè la felicità avesse una fine non aveva un senso, nulla della vita aveva un senso e forse era anche giusto così, un qualcosa senza un senso non era comprensibile, proprio per questo nessuno poteva mai comprendere la vita. Perchè ponesse un punto alla fine di una storia, perchè mettesse dei muri trasparenti tra le persone e la felicità così da poter mostrare loro la sua luce ma bloccarli dal godere del suo calore. Tutti si ponevano di tanto in tanto delle domande sulla vita ma nessuno aveva mai il coraggio di esporle ad essa, i possibili risvolti negativi spaventavano persino il destino. Figuriamoci noi umani.

Mihai era perfetto, era quella luce dietro a quel muro invisibile. Ne volevo apprezzare il calore, adulare la forza, ammaliarmi di fronte a cotanta perfezione poi però facevo un passo e di fronte a me si stagliava quel blocco. Che fosse nella mia mente o meno non lo comprendevo, magari lo vedevo solo io, lo sentivo solo io e questo spiegava perchè ai suoi occhi tutto sembrasse più facile di quanto credessi io invece.

Il ritorno a Los Angeles mi spaventava era quasi paradossale pensare che prima di partire non avevo voluto neppure saperne niente di quel viaggio, in quel momento invece non volevo saperne niente di dover tornare a casa e abbandonare la mia allegria. Ci sarebbero state delle ripercussioni sulla mia vita, su di noi, su ogni mia certezza passata ma non mi pentivo di niente, nulla avrebbe mai potuto farmi pensare che quel ragazzo fosse sbagliato per me. Bensì che fossi sbagliata io per lui.

Allora perchè quando mi guardava sentivo che non volesse altro al di fuori di me? Perchè la vita mi stava concedendo a lui se eravamo destinati al dolore eterno come le coppie dei miei libri?

<<Dove sei andata a finire reginetta?>> Il suo sussurro mi accarezzò l'orecchio come le sue mani facevano con il mio ventre oscurato dalle bolle di quella vasca. <<Sono qui.>> Posi fine ai miei monologhi mentali per rispondergli, accorgendomi di essere rimasta in silenzio forse per troppo. <<Qui dove?>> Scherzò.

<<L'immensità dei tuoi pensieri mi sta allontanando da te.>> Mi baciò il collo ricoprendomi di brividi, quella pelle d'oca piacevole che non era dovuta al frescore del venticello notturno, bensì alla delicatezza delle sue labbra vellutate sulla pelle. <<Impossibile se ognuno di loro sussurra il tuo nome.>> Mi bastò alzare gli occhi per scorgere in lui un piacevole stupore quasi impercettibile, mi guardava con una luce in quei puzzi blu che mi stregava. Mi era servito un ragazzo di quattro anni più grande per comprendere cosa volesse dire provare la mia prima cotta, vera cotta, nulla di programmato o deciso da altri. Sentirlo mi faceva percepire la mia libertà, lui era la mia scappatoia e sapere che sarebbe finito tutto prima o poi era straziante.

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