CAPITOLO 46

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KEIRA

Oggi...

Non ero nervosa, ero diversamente tranquilla.

Erano ormai passate ore e lui non si era neanche degnato di farmi una telefonata per dirmi com'era andata a finire, se gli avessero sparato o se era tutto tranquillo, ma soprattutto a cosa riconduceva quel dannatissimo nome che accomunava gli uomini di mio padre. Lo odiavo, lo odiavo con tutta me stessa, mi stava mandando fuori dai gangheri e neppure era lì presente. Distraendomi per giunta dal mio lavoro.

Non dovevo destare nell'occhio, dovevo far in modo che mio padre credesse che andava tutto bene, che non stava cambiando niente e che anzi, la mia presenza negli affari stava portando i suoi frutti, ma con il nervoso che mi pendeva addosso non riuscivo neanche a star seduta su quella dannatissima sedia della mia scrivania in ufficio.

Lanciavo occhiate al mio telefono poggiato proprio lì da più di quattro ore e nulla, non era squillato mezza volta, se non a causa di chiamate di lavoro importanti. All'inizio ipotizzai che non avesse il mio numero, poi però avevo ragionato arrivando al fatto che non era così stupido da perdersi la possibilità di salvarsi il mio numero, e questo non fece che farmi arrabbiare di più.

Aveva il mio numero e non mi chiamava per farmi sapere come stesse andando, se fosse ancora vivo o meno, persino da morto avrebbe dovuto chiamarmi ma non lo stava facendo!

Se solo l'avessi avuto davanti penso che lo avrei fatto fuori.

Non una chiamata, non un messaggio, non un cazzo di piccione viaggiatore che mi dicesse che fine aveva fatto quel bastardo mascalzone, stavo raggiungendo il limite, sempre se non lo avevo già superato.

<<Domani avrà un brunch con i clienti che provengono dalla Turchia, dovremo mettere in conto di trovare un punto di incontro tra le nostre idee per programmare la società e le lor->>

<<Mya!>> La richiamai d'improvviso alzando la voce talmente forte che sobbalzò sulla poltrona, poi di scatto si mise in piedi, stringendo al petto il tuo block notes, come a doverlo usare come scudo per proteggersi da me e faceva bene a crederlo.

<<Mi dica.>> Squittì come una brava soldatina.

<<Smettila di ricordarmi tutti i miei impegni in questo esatto momento, non lo vedi che ho i nervi a fior di pelle?!>> Domandai retorica. <<E' da tutta la mattina che aspetto una sua chiamata e ancora non si è degnato di farsi vivo, sto uscendo fuori di testa e tu non fai altro che aggravare la mia situazione, quindi se non vuoi che faccia scoppiare il finimondo, esci da questo cazzo di ufficio e vammi a prendere un fotutto caffè con doppio caramello!>> Dire che tremava era un eufemismo ma non me ne fregava assolutamente niente, perlomeno aveva compreso il messaggio senza troppi problemi, un fattore in più che andava considerato come una piccola vittoria che mi consentì di non impazzire completamente.

<<Certamente, arriva subito.>> Si infilò il block notes nella sua borsetta a tracolla e con passo svelto si avviò verso la porta del mio ufficio per andarmi a prendere un caffè, sapeva ormai come lo prendevo, quindi almeno di quello non dovevo preoccuparmi. <<Oh scusi.>> La sentii mormorare mentre fissavo quel dannato cellulare con le mani piantate sulla scrivania, non squillava e io mi odiavo perchè probabilmente mi stavo preoccupando per niente. Per chi poi? Per uno come lui, meritava di ritornare dietro a quelle dannate sbarre già solo per quello che mi stava facendo passare. <<Dio mio se lo odio!>> Presi il cellulare e lo scagliai a terra senza nemmeno controllare se lo avessi rotto o meno, me ne sarei comprata uno nuovo, ma per il momento, distruggerlo era stato abbastanza liberatorio da aiutarmi.

Painful melody Where stories live. Discover now