CAPITOLO 45

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MIHAI

Sfogliavo le pagine di quel quaderno senza trovare più cosa scrivervi, nella mia mente vi erano ancora i mostri di quegli anni in carcere che mi ostruivano il cammino verso la quiete interiore, ma era come se per un attimo tutto si fosse messo in standby. Non sentivo più la necessità di scappare per quanto ancora mi sentissi fuori posto, tra quelle persone, tra quelle mura, in quel paese di ricordi che mi stava circondando da ormai fin troppo tempo. Era dura continuare ma avevo trovato un motivo per farlo, ecco perchè non mi sembrava così. Era tutta una questione mentale alla fine, la mia mente governava le mie azioni, bastava poco per farmi scattare e quel segno sul suo polso mi aveva portato ad impazzire tanto che non avevo pensato ad altro per tutta la notte. Saperla nel suo stesso letto mi aveva portato ad impazzire, sapere che era lì con l'uomo che si era azzardato a metterle le mani addosso, invece che con me che la toccavo sempre e solo per lambire quella reliquia, mi portava ad uscire di testa.

Non riuscivo a sopportare più quella situazione, soprattutto in quel momento in cui tutto stava iniziando lentamente a degenerare. Cornelius stava iniziando a capire che la quiete ormai era lontana anche per lui, che il matrimonio perfetto e da favola che avevano vissuto fino al mio ritorno era sempre stato una finzione, che non ci sarebbero più stati santi che lo avrebbero potuto salvare quando la mia vendetta finalmente si sarebbe conclusa. Per il momento dovevo solo attendere, aver pazienza e usare la testa. Il tutto messo insieme, quando in mezzo vi era Keira si rivelava ancor più difficile per me, ma dopo ciò che quel bastardo si era azzardato a fare, il desiderio di ridurlo in cenere si era fatto ancora più agonizzante.

Ma come potevo trovare il modo di descrivere come mi sentivo tramite delle parole? Non riuscivo più a scrivere, né per sfogarmi su delle pagine ingiallite con del banale inchiostro e ne tanto meno, per creare canzoni, non scrivevo più da più di dieci anni.

I miei occhi scivolavano lenti sulle parole dell'ultimo testo che avevo scritto e che nessuno aveva mai conosciuto, non avevo mai permesso a nessuno di leggerlo, difatti quando Paige si era azzardata a farlo ero impazzito. Avevo percepito una sensazione forte ma nuova, inspiegabile, come se il solo sapere che quelle parole stavano per essere conosciute da occhi che non erano i miei, mi avrebbe strappato ricordi che nessuno avrebbe saputo custodire con la mia stessa gelosa attenzione.

Si trattava dell'ultima canzone che avevo scritto.

L'avevo buttata giù in una sola notte, ma non in una notte come le altre.

Ricordavo ancora quel momento. La prima sera in carcere, qualche notte prima del processo finale che avrebbe posto la parola "fine", a quel meraviglioso capitolo della mia vita che si era concluso in tragedia.

Sentivo il petto esplodere, rabbia, delusione, odio e un amore che nessuno avrebbe mai potuto reggere, nemmeno me medesimo, che spingevano per trovare la libertà. Come se la gabbia del mio petto li avesse imprigionati senza alcuna pietà. Non avevo saputo come sfogarmi, non avevo saputo se mi avrebbero permesso di tenere con me quel quaderno, così vi avevo inciso quelle parole, su una delle tante pagine che conteneva. Con la speranza che se me l'avessero tolto quelle parole sarebbero arrivate a lei. Non era stato così e con il senno di poi, dopo dodici anni ringraziai che non fosse accaduto, che me lo avessero lasciato.

Era una canzone ai miei occhi priva di una decenza, l'ultimo testo che avevo scritto e anche il peggiore perchè vi ero io in quel brano, e ai miei occhi era penoso. In quel brano ero io senza di lei, ecco perchè era penoso.

Un leggero rintoccare contro la porta mi distrasse dalla mia rilettura, così richiusi il quaderno poggiandolo sul comodino, prima che due occhioni blu spuntassero dalla fessura della porta che, anche senza il mio permesso, si stava lentamente aprendo sotto la spinta di quel nanerottolo petulante.

Painful melody Where stories live. Discover now