CAPITOLO 1

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KEIRA

Di rado mi sentivo veramente triste durante le mie giornate ed ero grata per questo perchè potevo veramente dire che nulla nella mia vita andasse male a tal punto da guastarmi l'umore, anche se alla fine scavando più a fondo di perfetto in me c'era veramente poco se non niente.

Ogni giorno era uguale agli altri in tutto e per tutto ma per quanto la mia routine fosse monotona e ripetitiva non potevo dire che fosse noiosa e questo lo dovevo tutto al mio lavoro che amavo più di qualunque altra cosa al mondo. Ma alla fine era l'unica vera cosa che mi ero sudata da sola senza l'aiuto di nessuno. Essere la figlia di uno degli uomini più ricchi e potenti della California spesso mi aveva rovinato molti momenti che per i bambini nati in famiglie "normali" sono all'ordine del giorno, come ad esempio gattonare prima di imparare a camminare, sporcarsi mentre si mangia, giocare in giardino. Queste erano tutte cose che io non avevo mai potuto provare sulla mia pelle, mi ero limitata ad osservare gli altri bimbi vivere il mio sogno continuando a crescere sotto la campana di vetro del grande e potente Christian Martin, mio padre, assecondando ogni suo volere. Ero la secondogenita nonchè l'unica figlia femmina della famiglia e dovevo portare in alto il cognome Martin con eleganza e compostezza, per questo già dall'età di tre anni dovevo vestire sempre in ordine, camminare diritta e crescere seguendo le orme di quella altezzosa e schizzinosa donna che era mia madre, Odenne Allen Martin. La mia infanzia non era mai esistita, ero nata già grande si poteva dire, e nulla in me doveva essere sbavato o imperfetto, dovevo rappresentare lo stereotipo di figlia bella e perfetta. Sono cresciuta tra corpetti nascosti sotto agli abiti per sembrare ancor più magra, abiti non troppo scollati per non passare per una poco di buono e senza mai spacchi troppo vertiginosi poichè ogni lembo di pelle in più che mostravo agli occhi di mia madre erano un modo secondario per perdere la mia dignità di donna. Non potevo piangere o ero una debole, non potevo urlare o si scomponeva il trucco, non potevo ridere o apparivo come un oca giuliva ma alcun tempo non potevo smettere di sorridere o avrei dato, inconsapevolmente, una visione della famiglia Martin totalmente distorta. Anche se poi sarebbe stata quella veritiera. Essendoci nata per me tutte quelle regole erano ormai routine, difatti ad oggi non sapevo neppure cosa volesse dire vivere senza continuare a far caso alla linea, controllare numerose volte il rossetto o uscire di casa sempre ben sistemata perchè i paparazzi si annidavano in ogni angolo pronti a scattarti foto per farti sfigurare sul giornale della città. Se non dello stato.

Ero cresciuta con la convinzione che il mondo non fosse altro che un palcoscenico, la gente intorno a me i giudici e io la concorrente che veniva brutalmente giudicata per ogni cosa, ma ormai ero forte, i giudizi mi scivolavano addosso e modestamente potevo dire che all'età di ventotto anni avevo già una mentalità più avanzata. Fuori potevo ancora sembrare una sedicenne, dentro però ero già conscia di ogni minuscola sfaccettatura della vita e si poteva dire che ero già invecchiata. D'altronde a quest'età una ragazza solitamente vivrebbe tra discoteche e appuntamenti, una relazione nel pieno della fioritura e chissà che piani futuri, io invece neppure in tal caso avevo mai saputo cosa volesse dire essere una ragazza normale di ventotto anni.

Ero già sposata, al dito portavo la fede di un uomo che mi amava e che sarebbe invecchiato con me, non avevo mai messo piede in un locale, non sapevo cosa volesse dire bere fino a sentirsi male, non conoscevo cosa fossero le feste e le uscite con gli amici la sera. La mia famiglia mi aveva rubato la vita comune per farmi vivere nella loro gabbia ma non per questo ero una di quelle ragazze santarelline e impudiche. Non conoscevo cosa si celasse al di fuori del mio mondo, ma all'interno di quest'ultimo ero ben consapevole che tutti dovevano fare e dire ciò che volevo, io comandavo, gli altri sottostavano al mio volere. Uomini, donne, io parlavo e loro procedevano. Non conoscevo cosa si poteva provare a scopare in uno squallido bagno di qualche discoteca, ma sapevo cosa volesse dire far sesso con tutti gli uomini che volevo, io li desideravo e mio marito stesso li faceva correre da me per saziare ogni mio piacere. Altre volte invece mi saziavo soltanto di lui, dell'amore che traspariva nei suoi occhi ogni volta che mi guardava e del suo tocco gentile.

Painful melody Where stories live. Discover now