CAPITOLO 17

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MIHAI

Dodici anni prima...

Sapevo di aver usato le maniere sbagliate con lei e me ne pentivo, le avevo imposto di fingere senza farmi problemi, ero diventato come i suoi genitori, ero diventato le sbarre di quel carcere che la tenevano segregata in quella fortezza opprimente. Mi sentivo in colpa per non aver saputo agire diversamente ma non avrebbe dovuto farlo per sempre e soprattutto non sempre, quando eravamo soli o comunque lontani da possibili paparazzi era libera di essere sé stessa, di fare ciò che desiderava, persino di starmi lontana chilometri se occorreva. Non volevo diventare come coloro che l'avevano privata di poter essere se stessa, io volevo che con me conoscesse la libertà, che imparasse a capire cos'era veramente vivere e che buon sapore avesse saper di poter fare ciò che si voleva.

Volevo che si tagliasse una fetta del mio mondo, che ne assaggiasse la prelibata dolcezza che si percepiva a non aver catene, quanto fosse buono l'odore di un'aria priva di regole d'altri tempi.

Santo cielo, non sapevo perchè sentissi il dovere di dare a quella ragazzina di appena sedici anni la possibilità di esplorare una vera adolescenza, ricca di errori e sbavature, dove ogni cosa era tutto fuorchè perfetta perchè nulla a quel mondo era perfetto. Ma volevo e lo avevo promesso.

Avevo promesso che l'avrei portata via da quel carcere, a me stesso e a suo nonno.

Eravamo arrivati all'hotel che ci avrebbe ospitato solo per quel giorno fino al concerto prima di dover ripartire per dirigerci a New York, la receptionist si era dovuta assentare per un secondo a causa di una chiamata così ci ritrovavamo in piedi, nella hall di quell'edificio, in attesa che ci assegnassero le camere.

Lei e Stefany si guardavano nel frattempo un po' intorno, quella ragazzina guardava ogni cosa con occhi attenti e mi incuriosiva, era come se non conoscesse il mondo al di fuori di Los Angeles, percepivo anche un po' del suo smarrimento. Non era abituata a star fuori casa, in un luogo a lei così sconosciuto.

Ma per quanto intimorita potesse sembrare, dietro a quel suo atteggiamento da dura che si ostinava ad ostentare, sapevo che si nascondesse una curiosità quasi infantile per lo scoprire cose e posti nuovi.

Ad ogni piccola cosa sorrideva, per tutto il tragitto in van aveva posato gli occhi sulla città affacciata al finestrino, ammirava tutto con occhi diversi e ad ogni dettaglio dei palazzi, delle bancarelle a bordo strada, della gente che semplicemente viveva la sua ordinaria routine lei sorrideva.

Avrei tanto voluto sapere cosa scorrazzava tra i pensieri di quella ragazza, paradossalmente uno come me che era nato in un paesino sperduto in Moldavia, conosceva il mondo meglio di una ragazzina agiata nata in una delle città più belle dello stato. Più la guardavo distante che girovagava per quell'atrio chiacchierando con la sua amica, più avrei voluto prenderla e portarla ovunque, in ogni dove e mostrargli cosa poteva avere se solo si fosse lasciata andare.

Desideravo che lo facesse, che si lasciasse andare con me.

Mi piaceva, non ero uno che aveva paura di ammettere le cose, non conoscevo orgoglio e difatti glielo avevo detto, non mi importava di passare per lo sfigato alla sua prima vera cotta, quella ragazza mi mandava il cervello in cortocircuito e lo doveva sapere. E avrei fatto di tutto per far sì che anche lei mi volesse. Ma non avrei cambiato nulla di me per facilitarmi il lavoro, sarei rimasto sempre me stesso, le avrei mostrato ogni lato di me con la speranza forse vana che mi volesse nella sua vita. Quella vita chiusa e asfissiante che la mortificava giornalmente. Consapevole che probabilmente ogni mio tentativo sarebbe andato in fumo, che lei non mi avrebbe mai accettato, ma io nella vita non mi privavo di nulla.

Painful melody Where stories live. Discover now