CAPITOLO 39

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MIHAI

Oggi...

Sentivo ancora addosso il suo profumo, sui vestiti, sulla pelle, su quei tagli coperti dalla garza che per fortuna non si era sfilata durante ciò che avevamo fatto che per me aveva significato tutto, mentre per lei doveva esser stata soltanto l'ennesima scopata fatta con un uomo leggermente diverso da quelli che aveva avuto in dodici anni di mia assenza.

Mi stava esplodendo il petto, desideravo di distruggere tutto a partire da me stesso e mi odiavo perchè una persona sana di mente avrebbe percepito il bisogno di distruggere lei, la causa di quel mio continuo e interminabile tormento. Ma la verità era che non l'avrei più toccata per farle male, ero già arrivato a quel punto e mi pentivo di aver anche solo toccato quel corpo armato di cattive intenzioni. La verità era che quella donna mi avrebbe anche potuto sparare un proiettile al centro del petto, e io avrei continuato a vedere in lei la ragazzina di sedici anni che mi aveva fatto perdere la testa.

Perchè? Mi chiedevo urlando, ma solo tra i miei pensieri.

Perchè amavo? Cosa c'era di bello in tutto quel dolore che mi teneva ancorato a lei?

La guardavo inerme, in piedi su quella terrazza chiedendomi come facessi ad amare quel mostro, come potessi adorare il suo buio, la sua oscurità. La risposta la conoscevo bene però, fin troppo bene.

Era proprio nell'oscurità che si celava la luce delle stelle, e in lei, o meglio in ciò che era stata la mia Reginetta, avevo visto una luce che mi aveva scaldato il petto. Senza quel calore sentivo freddo, gelavo.

Strinsi il pugno che attendeva l'imminente impatto contro qualsiasi superficie, la pelle mi pizzicava in attesa che la tagliassi per sfogare quella sofferenza, per dar voce al mio dolore.

Avrei dovuto urlarle addosso che era la vergogna della vita, l'essere più spregevole che conoscessi, eppure di fronte a quella donna, così dannatamente bella, intelligente e impenetrabile, vidi di nuovo la mia Piccola peste.

Riuscendo a mormorare soltanto delle semplici parole che ero certo, che non l'avrebbero neppure sfiorata.

<<Non provo che odio per te.>> Bugiardo, mi redarguì la coscienza. Il mio fu un profondo e sottile sussurro che però la raggiunse ugualmente. Quella chioma scura si scostò leggermente su quelle spalle magre e il suo volto si girò appena di lato. Con la coda dell'occhio mi guardava, senza concedermi neanche un altro secondo di fronte a quelle pietre blu. <<Non sprecare parole al vento, sai che non è così Kovacs.>> Ribattè atona riportando gli occhi al cielo. <<Ma se ti aiuterà a farti andare bene questa situazione allora ben venga, fingi di odiarmi.>> Si voltò e i miei occhi ricaddero sulle sue mani, lì dove vidi che si stava infilando nuovamente quel dannato anello e la fede. Allontanandosi di nuovo da me. Non riuscivo a sopportare la presenza di quei due anelli che in quel momento mi parvero delle vere e proprie catene.

<<Ora che farai? Tornerai a casa da lui fingendo che questo non sia mai accaduto?>> Feci dei passi avvicinandomi a lei che sembrava comunque distante.

<<No, sa che mi diverto anche con altri uomini quando si tratta del sesso.>> La sua noncuranza mi innervosì.

<<Ma io non sono uno dei tanti Kei, lo sai, lo hai detto tu stessa.>> Il mio tono si fece più affilato, tagliente, per combatterla dovevo arrivare ad essere all'altezza della mia avversaria e così avrei fatto.

<<Come credi che la prenderà il tuo adorato maritino cornuto quando verrà a sapere che a toccarti questa volta sono stato io? Che sei venuta grazie a me? Che ti sei lasciata baciare da me?>> Più mi avvicinavo più sembrava irritarsi, ma non si spostò, mi attese composta e diritta con lo sguardo assottigliato a due fessure ricolme di astio.

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