CAPITOLO 16

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KEIRA

Dodici anni prima...

Non mi pentivo di ciò che avevo fatto ma non riuscivo ad ignorare il senso di ripudio che mi attanagliava lo stomaco, il ribrezzo al solo pensiero che avessi concesso di toccarmi ad un uomo che non meritava un briciolo di ciò che ero. Prima si mostrava tanto gentile e buono e poi puntava a colpire nei miei punti deboli senza alcuna dignità, mi faceva schifo, era esattamente come tutti gli uomini che respiravano al nostro mondo, eccezion fatta per qualche individuo. Voleva controllarmi, avere da me ciò che desiderava, scarrozzarmi dove più gli andava e fare il finto gentiluomo quando più gli conveniva, ma non aveva capito che io ero capace di distruggerlo, mi bastava uno schiocco di dita.

Sentivo i suoi occhi addosso come sanguisughe sulla pelle che mi prosciugavano ogni goccia di pazienza, aveva il brutto vizio di parlare troppo quel ragazzo e di pentirsene un istante dopo, peccato che negli istanti che gli occorrevano per capire di aver sbagliato, io lo avevo già rovinato.

Desideravo che si pentisse di avermi portata con sè in quel breve viaggio e sapevo bene come giocare le mie carte. Sapevo sempre come muovermi.

Lo scorrere gradualmente più lento del suo jet sulla pista di atterraggio cessò di esistere e finalmente ci fermammo. Fuori dal finestrino intravidi già un bel fiume di paparazzi tenuti distanti da delle guardie in nero dalla passerella che portava dalla scala dell'aereo ai due van corvino a qualche metro di distanza da quest'ultimo. Fotocamere e giornalisti, il mio pane quotidiano, era tutto tremendamente perfetto.

Se mi avessero visto con lui i media sarebbero esplosi, l'emergente Star pluripremiata e la figlia del re di Los Angeles, eravamo per la gente due mondi completamente differenti per il nostro passato, io cresciuta nell'agio, lui in una famiglia comune in Moldavia. Insieme eravamo diversi come il bianco e il nero.

Ed era proprio ciò che mi serviva. Il mondo doveva vedermi con lui, tutti dovevano impazzire così Mihai avrebbe avuto alle calcagna la pressione dei giornalisti, ma soprattutto dei miei genitori. Per loro qualunque uomo si avvicinasse a me che non fosse Cornelius era da eliminare, quindi in poco Mihai Kovacs sarebbe scomparso dalla mia vita.

Chi toccava la mia famiglia era da eliminare.

Mi sganciai la cintura e mi alzai sistemandomi meglio il pantaloncino leggermente troppo risalito, l'aria era alquanto tesa, un po' per lo scontro verbale di poco prima e un po' dedussi che provenisse dalla presenza dei giornalisti. I fratelli Kovacs sembravano particolarmente infastiditi dalla loro presenza. Alexei più del suo gemello, d'altro canto era il suo manager, era lui che si prendeva a carico queste cose.

<<Non passeremo di certo inosservati con quelli lì ad aspettarci.>> Volevano nascondersi o forse nascondermi, se i miei genitori avessero scoperto che ero con loro a San francisco avrebbero mandato i loro uomini a riprendermi in un batter d'occhio, in poche parole non c'era niente che non convenisse a me in quella situazione. <<E che importanza ha? Il concerto di stasera si limiterà allo stadio di San Francisco ma quello a New York sarà mandato in diretta visione su tutte le televisioni dello Stato, il mondo vedrà Keira in ogni caso quindi perchè temporeggiare?>> Stefany aveva ragione, era inutile che provassero anche solo a pensare un modo per svignarsela. Dal volto di mio fratello, corrucciato dalla concentrazione, dedussi che il piano fosse di dire ai miei che ero da tutt'altra parte solo con lui, non avevano pensato che portarmi con loro avrebbe scaldato nettamente di più gli animi. Mentre loro discutevano io rimanevo poggiata alla parete del jet guardandomi intorno, non ero l'unica però a tacere. Il biondino se ne stava seduto, con la cintura slacciata e i gomiti sulle ginocchia. Teneva il capo chino, quando però alzò lo sguardo distolsi il mio da lui. Non meritava neppure i miei occhi, nulla di me sarebbe mai potuto appartenere ad uno zotico simile.

Painful melody Место, где живут истории. Откройте их для себя