34.

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megan's pov

È nata.

Mia figlia è nata da ormai due settimane.

Appena l'ho vista tutti i pensieri che mi tormentavano sono cessati.

È stata indescrivibile la sensazione che ho provato quando l'ho presa in braccio per la prima volta.

Mi ha stretto il dito nella sua piccola mano e ha smesso di piangere.

Le acque tra me e Jackson si sono calmate, ma soltanto per i primi giorni.

Dopo la prima settimana ha ricominciato a prendersela con me per ogni singola cosa che facessi.

Valentine si è lamentata perfino per il modo in cui lavo i piatti, ieri, dopo cena.

E Jackson non ha esitato per un momento, anzi, le ha subito dato ragione.

Mi sento costantemente di troppo, e lei mi osserva ogni giorno con un ghigno malefico sul volto.

In quest'ultimi giorni una nuova preoccupazione è sorta in me.

Un nuovo terrore.

Non riesco a fare più nulla con naturalezza, ho il terrore di sbagliare anche la più piccola cosa.

Sono anche più fredda con Abigail, nonostante lei sia l'unica che si preoccupa per me.

Mi sento cattiva e incapace.

Ma questi miei comportamenti hanno un motivo.

La cosa che più mi spaventa è che loro due possano portarmi via mia figlia, e mi vietino di vedere Abigail.

Non lo sopporterei.

Nella mia vita ho già perso troppo.

Io ho pochi soldi, mentre Jackson e Valentine sono ricchi.

Io non posso permettermi un buon avvocato, ma loro sì.

Per questo sto provando ad essere perfetta, ma non credo di riuscire ad andare avanti così ancora a lungo.

Sono una persona anche io.

Ormai è tardi, è notte, ed io dovrei dormire, ma non ci riesco.

Avril è nella culla, nella mia camera, a dormire.

Vorrei riuscirci anche io, ma i pensieri mi tormentano, più la osservo e più ho paura di perderla.

Io so di essere giovane e di non essere perfetta, ma voglio provarci ad essere una buona madre.

Non merita un abbandono da parte materna, non voglio che passi quello che ho passato io.

Io sono sua madre, e nessuno ha il diritto di togliermi questo ruolo.

Mi asciugo una delle tante lacrime che rigano il mio volto.

Vorrei smettere di piangere ma non ci riesco.

Devo sfogarmi in qualche modo.

Passano diversi minuti, ma il mio pianto non cessa.

Alzo per un attimo lo sguardo e vedo Jackson, sullo stipite della porta.

Indossa solo un paio di pantaloni della tuta, ha il petto scoperto e i capelli spettinati.

«Megan, stai piangendo.» afferma, camminando verso di me.

Io scuoto la testa, cercando di trattenere le lacrime.

Chiude la porta e poi si avvicina al mio letto e si abbassa alla mia altezza.

Mi sposta una ciocca di capelli dal viso, mettendomela dietro l'orecchio.

«Si invece.» dice, guardandomi negli occhi.

«Puoi dirmi che hai? Megan io non voglio vederti così..» mi domanda.

«N-non ho niente, mi dispiace di averti svegliato.» mi scuso.

«Non devi scusarti, non sono arrabbiato, ma sono preoccupato per te.» mi risponde.

«Dimmi che ti sta succedendo, so che spesso sono scontroso e acido, ma ora voglio aiutarti.» continua poi.

Io scuoto la testa.

«Megan, parlami, sfogati con me, non ti fa bene tenere tutto dentro, non puoi continuare così.» mi dice, cercando il mio sguardo.

«Io ho paura, ho paura di tante cose per colpa di ciò che ho dovuto subire durante la mia infanzia, e tu non mi aiuti, fai solo aumentare le mie preoccupazioni.
Tu mi hai messo incinta, e so che non avresti voluto una figlia da me, e mi dispiace.
Ma perfavore, non portarmi via Avril, non sarebbe una battaglia ad armi pari, tu puoi permetterti un bravo avvocato, ma io no.
So cosa si prova a non avere una madre, e non voglio che Avril lo provi.» butto fuori tutto.

«Davvero? Mi dispiace a me, non volevo farti pensare una cosa del genere.
Non ti porterei mai via Avril, devi credermi.» mi risponde, così finalmente sposto lo sguardo sui suoi occhi, che mi sembrano lucidi.

Prende le mie mani nelle sue.

«Non ho avuto dei genitori, non proverei mai a far vivere a mia figlia una cosa del genere, sai la mia storia Megan, per questo devi fidarti, e in quest'anno ho capito che per te non è facile fidarti degli altri, ma provaci.» continua poi, ed io annuisco, ricominciando a piangere.

Lui mi abbraccia, e mi stringe forte fra le sue braccia.

Sarò egoista a volere che questo momento non finisca mai, ma è la verità.

Vorrei che questo momento non finisca mai.

Lui si stacca da me.

«Fammi spazio.» mi dice.

«Qui vicino a me?» gli domando, non capendo.

Annuisce.

Mi sposto da un lato, e lui si sdraia vicino a me.

«Se è troppo lo capisco, non sentirti obbligata, ma io vorrei veramente capirti, ti va di raccontarmi la tua storia? la mia la sai già.» mi dice, ed io annuisco.

Ha ragione, forse è arrivato il momento.

«Mio padre picchiava mia madre, ma lei lo amava troppo per rinunciare a lui, dopo anni di violenze nacqui io, ma non fu molto d'aiuto.
Non picchiava solo lei, ma anche me.
Un giorno, quando avevo undici anni scappò e si trasferì, denunciando mio padre.
Ma non mi portò via con lei, mi lasciò con lui.
Mi picchiava, ed io non avevo amici perché avevo paura anche solo di parlare con gli altri, non riuscivo ad aprirmi.
Quando diventai maggiorenne me ne andai, e lui non mi cercò mai, e forse è meglio così.» gli racconto, fermandomi ogni tanto.

«Mi dispiace Megan, non pensavo avessi subito una cosa del genere.» mi dice, iniziando ad accarezzarmi i capelli.

«Tranquillo, non importa.» gli rispondo, rilassandomi sotto il suo tocco gentile.

Alzo lo sguardo verso i suoi occhi.

«Ora puoi anche andare, se vuoi.» gli dico, ma lui scuote la testa.

«No, rimango qui a dormire con te, così sono sicuro che ti addormenti e se Avril si sveglierà ci sono io.» mi risponde.

«Tu devi tornare da Valentine, se lei-» dico, ma mi interrompe.

«Non mi interessa, ci penso io.» mi risponde, così annuisco.

«Ora dormiamo su.» continua poi, sistemandosi sul mio letto.

Mi sdraio anche io, la distanza tra noi è poca.

Chiudo gli occhi e dopo poco mi addormento.

𝑰 𝒏𝒆𝒆𝒅 𝒖Where stories live. Discover now