Capitolo 2.

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Mi ero trasferita subito dopo il diploma.
Avevo detto addio a tutte le persone che conoscevo- erano davvero poche-, ed ero partita senza guardarmi indietro. New York rappresentava una seconda possibilità, un modo per ricominciare tutto da capo.

La vita a New York era proprio come me l'ero sempre immaginata. Ero felice, finalmente, anche se, sentivo la mancanza di Jennifer e delle sue doti culinarie. Sicuramente non sentivo la nostalgia di Los Angeles, o del caldo.

Non tornavo mai a casa, a meno che non potessi evitarlo. E se lo facevo, mi assicuravo sempre che mia madre non fosse nei dintorni. Poppy non era esattamente il genere di donna che una ragazza voleva per madre e anche lei doveva riconoscerlo, visto che non si era mai arrogata il diritto di assumere quel ruolo per me. Ogni tanto mi chiamava per sapere come stavo, se avevo bisogno di soldi e per sapere se avevo sentito mio padre. La maggior parte delle volte, invece, si limitava a scrivermi brevi messaggi per assicurarsi che fossi ancora viva. E a me andava bene così, era meglio ridurre le nostre interazioni al minimo.

Mio padre non era da meno, Jack Bellisario era un uomo d'affari e, sebbene non avessi mai capito in che cosa consistesse esattamente il suo lavoro, sapevo che questo lo portava a viaggiare ininterrottamente per il mondo. E anche se non era molto presente, perlomeno si recava a New York per incontrarmi almeno una volta al mese. La cosa non mi dava fastidio, però.  Molto semplicemente non importava, mi ero abituata alla loro assenza.

Ero sempre stata una di quelle persone che si adatta facilmente ai cambiamenti, e anche in quel caso ero riuscita ad ambientarmi. E, se non fosse stato per l'accento e per le mie scarse capacità di orientamento, sarei passata per una new yorkese nata e cresciuta in città.

Durante tutto il primo anno avevo vissuto nel dormitorio degli studenti, dove ero riuscita a integrarmi e farmi degli amici. E, per la prima volta nella vita, mi ero sentita nel posto giusto al momento giusto. Non era mai stato facile per me, prima.  Al liceo ero una ragazza insicura e impacciata, due tratti caratteriali di cui portavo ancora addosso le cicatrici. Segni che ero riuscita a celare, a nascondere a occhi indiscreti. Lontana da Los Angeles, da mia madre e dalle sue imposizioni ero riuscita a sbocciare e fiorire, nonostante tutte le mie paure.

Alla fine del primo anno, io e la mia compagna di stanza -Jocelyn- con la quale avevo legato molto, avevamo deciso di cercare un appartamento fuori dal campus -ma non troppo distante-, e di affittarlo insieme. La nostra scelta era ricaduta sul Columbus Square, un'elegante complesso di appartamenti a poco più di venti minuti di tragitto dall'università, dove ci eravamo trasferite non appena conclusa l'ultima sessione di esami del primo anno.

Jocelyn era una ragazza fantastica, praticamente il mio opposto: alta, carnagione leggermente olivastra, occhi color cioccolato e lunghi capelli del colore del caramello fuso. Era una forza della natura, non stava mai ferma un attimo e aveva sempre qualcosa da fare. Al contrario di me, che passavo la maggior parte del mio tempo chiusa in casa a leggere e studiare.

«Ehi» mi salutò Jocelyn, entrando in camera mia quella sera.

Ricambiai il suo saluto, e riposi uno dei libri che stavo studiando per un esame sopra la mia scrivania.

«Che programmi hai per questa sera?» chiese sedendosi sul bordo del letto.

Il piumino perfettamente tirato si stropicciò sotto il suo peso.

«Il solito» risposi, continuando a riordinare la stanza.

Jocelyn alzò gli occhi al cielo. Il solito, consisteva nel farmi consegnare una pizza a casa e di mangiarla mentre guardavo la replica dell'ultimo episodio di Hells Kitchen. Non ero riuscita a guardarla in settimana e volevo sapere chi era stato eliminato.     
Devo ammettere che avevo una strana ossessione per gli show di cucina: ero una frana come cuoca, ma mi piaceva guardare la gente cucinare.

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