Capitolo 39.

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Una morsa mi attanagliava il petto, la sentivo da quando avevo salutato Jared e, da quando ero salita sull'aereo che mi avrebbe riportata a New York, quella sensazione non aveva fatto altro che peggiorare. Più tempo passava, più quella stretta schiacciava sul mio petto ed impediva ai polmoni di svolgere regolarmente la loro funzione. Provai a calmarmi, a razionalizzare la mia reazione e ad ingiungere alla mia mente di smettere di somatizzare e di infliggermi quel dolore, ma non ci riuscii.

Ero consapevole di una cosa: se stavo soffrendo la colpa era solo mia. Il peso che gravava sul mio petto, ero stata io a metterlo lì. La confessione del mio amore era scivolata fuori dalle mie labbra e non ero riuscita a far nulla per fermarla, per impedirmi di dire una cosa di cui mi sarei pentita per sempre. Il suo sguardo, il modo in cui mi aveva guardata per quello che mi era parso un'istante interminabile, era impresso a fuoco nella mia memoria e mi ricordava ad ogni secondo che passava che ero la sola ed unica colpevole.

La mia mente era divisa: una parte di me, desiderava solo che l'aereo volasse più velocemente e mi riportasse a New York il prima possibile. Un'altra, - nonché quella più grande-, mi gridava di correre nella direzione opposta, di scappare il più lontano possibile e non guardarmi più indietro, così da sfuggire dall'imminente catastrofe che si sarebbe abbattuta su di me e da non dover assistere al mio castello di sabbia che crollava. Lo sentivo nel profondo, quelle due parole erano riuscite a scuotere le fragili fondamenta che eravamo riusciti ad erigere insieme e tutto il resto stava cedendo. Non volevo restare ad osservare le macerie che ci saremmo lasciati alle spalle, non ero abbastanza forte per sopportarlo.

«Sta' tranquilla,» provò a calmarmi Jocelyn, stringendomi la mano. «Non gli è successo niente.»

Lei non capiva. Non poteva comprendere la mia paura, perché non sapeva dell'errore che avevo commesso. Eppure, quando le avevo detto di essere preoccupata per Jared, mi aveva proposto di tornare a New York. Non avevamo nemmeno messo piede in casa Collins, che lei aveva prenotato i biglietti sul primo volo disponibile e si era assicurata che i nostri posti fossero vicini. Mi aveva tenuto la mano per tutto il tempo mentre cercavo di mettermi in contatto con lui ed imploravo chiunque fosse in ascolto perché non rispondesse di nuovo la voce preregistrata del servizio telefonico. Aveva passato la notte con me, provando a rassicurarmi e quando era giunto il momento di recarci all'aeroporto era stata lei ad assicurarsi che avessi tutti i documenti necessari. Per tutto il tempo che avevamo aspettato al terminal prima d'imbacarci, mi aveva accarezzato le braccia cercando di tranquillizzarmi ed aveva lanciato diverse occhiate preoccupate al suo ragazzo, che stava provando a rintracciare il suo amico. Nessuno degli altri membri della band sapeva niente. Nessuno l'aveva più visto da dopo le prove del giorno prima.
Alle quattro del mattino, poco prima di salire sull'aereo Shawn era riuscito ad ottenere un'unica informazione da Cole-Scott: la sera prima Jared era stato al FREEDOM.

«Lo so.» commentai, portandomi una mano contro il petto; come se quel gesto bastasse a placare il dolore che sentivo.

Non servì a nulla, niente poteva lenire la ferita che mi ero inferta da sola.

«Vuoi spiegarmi che cosa è successo tra voi?» domandò, appoggiando la testa contro la mia spalla.

Scossi la testa, per l'ennesima volta. Non potevo parlarne con lei, per paura che una volta esposti i miei timori questi si sarebbero realizzati; come se le mie parole avessero lo strano potere di far accadere le cose.

Lei annuì, impercettibilmente e strinse la presa intorno alle mie dita. «Tieni duro.» m'incitò. «Mancano solo un paio d'ore.»

Sussultai, dinanzi a quella prospettiva. In due ore poteva succedere di tutto.

O potrebbe anche non succedere niente, provò a tranquillizzarmi Gollum. Era dalla parte di Jared, come sempre.

«Chiudi gli occhi e riposati.» ingiunse Jo, accarezzandomi una guancia con la mano libera. «Hai bisogno di dormire.»

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