Capitolo 11

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«Alex», mi chiamò una voce, che proveniva dalle profondità più recondite dell'inferno. «Alex.»

Zeus, anche tu? A quanto pare, non esisteva nessuna divinità in grado di proteggermi dalle numerose sciagure che si abbattevano su di me. Attendevo l'arrivo di un uragano, che avrebbe spazzato via solo il nostro edificio, da un momento all'altro.

Che cosa farebbe Alex Parrish?, mi chiesi. In quel caso i preziosi consigli di Annalise Keating, non mi sarebbero mai serviti, era una situazione in stile Quantico. Dovevo pensare in fretta e agire prima del nemico. Mi guardai intorno alla ricerca di una possibile via di fuga: ero in trappola.

Finsi di non aver sentito la voce di Coco che, urlava il mio nome, e continuai a camminare. Più in fretta del solito.
Lei fu più veloce e riuscì a raggiungermi. Correre sui tacchi era uno sport nazionale? Se sì, Chanel si meritava una medaglia olimpica.

«Ehi», la salutai, voltandomi verso di lei.

Aveva il fiato corto per via della corsa, ma i suoi capelli erano ancora perfetti e sulla sua pelle vellutata non c'era nemmeno una goccia di sudore. Li aveva i pori? Perché dopo una corsa io grondavo acido e lei, invece, sembrava appena uscita da una SPA? L'ennesima riprova che la vita era crudele. Se esisteva un Dio, ed iniziavo seriamente a dubitarne, doveva odiarmi.

«Ti stavo chiamando da cinque minuti» sbuffò lei, una volta ripreso fiato.

Ciao anche a te.
Nella mia mente si formò subito un parallelismo con mia madre: quelle due erano identiche.

«Scusa, ero sovrappensiero.»

Stavo escogitando un piano di fuga. Presi in considerazione l'idea di iscrivermi ad un corso di parkour, buttarmi giù da una finestra, sarebbe stato meno doloroso di intrattenere una conversazione con lei.

«E, ho anche provato a telefonarti» mi ragguagliò, gelandomi con il suo sguardo.

Possibile che nelle sue vene scorresse il sangue di mia madre? Chanel poteva benissimo essere sua figlia. Chanel Quinn, suonava bene.

«Non trovo il mio cellulare» mentii, il suo contatto era ancora bloccato. E non avevo intenzione di sbloccarlo. «Volevi parlarmi?»

Mi schiaffeggiai mentalmente, ponevo sempre delle domande stupide.

«Ti va di pranzare, insieme?» propose lei, tutta sorridente.

Quel sorriso sortì lo stesso effetto dello sguardo che mi aveva rivolto poco prima, mi pietrificai sul posto.

Dovevo aspettarmelo. Ecco un'altra che vive ancora nel passato. Chanel era ai tempi del liceo. Lei voleva uscire con Jared ed io sembravo conoscerlo. Quindi, era assodato che, il modo migliore per arrivare al suo letto, era passare attraverso di me.
Povera sciocca, che se lo scordasse. Non l'avrei aiutata.

Mio, abbaiò una voce nella mia testa. Non era la mia. Non poteva essere la mia.

Gollum, sei tu? Doveva per forza essere lui, quel pensiero irrazionale non apparteneva a me.

Non consideravo Jared mio. Anzi, cercavo proprio di non considerarlo. Pensare a lui non mi faceva più male come un tempo, ma essere arrivata a realizzare che, forse, i miei sentimenti nei suoi confronti non erano del tutto estinti, era una bella fregatura.

«Mi dispiace, non ho tempo» le sorrisi, compiaciuta della mia prontezza di riflessi. «Devo andare a lezione.»

Le mie lezioni erano già finite, ma pur di fuggire da lei, mi sarei infilata in un'aula qualsiasi.

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