Capitolo 12

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Marzo era arrivato, e insieme a lui era giunto il momento del fatidico brunch domenicale.

Mi ucciderà, pensai guardando la mia immagine riflessa nello specchio.

Peggio, dopo aver scoperto che non mi ero tagliata i capelli, –come mi aveva, gentilmente, suggerito-, mi avrebbe fatta sottoporre ad un intervento di lobotomia: in quel modo non sarei più sfuggita al suo controllo. Dopo sarei stata alla sua completa mercé, mi avrebbe forgiata a sua immagine e somiglianza, per trasformarmi nella perfetta Barbie California: ero condannata.

Una versione tascabile di Poppy. Versione tascabile, o no, non volevo essere come Poppy.

Presi in considerazione l'idea di fingermi malata. Stavo sudando. Tutta la mia sicurezza era sparita, e mi ero pentita di aver saltato l'appuntamento dalla parrucchiera. Inspirai ed espirai, più volte, pesantemente. Raccolsi i capelli e li sistemai in un'elaborata acconciatura, sperando che la cosa passasse inosservata.

«Jo», gridai, stirando un'immaginaria piega sul mio bel vestito. Un abitino azzurro, con le maniche a sbuffo e la scollatura a cuore, che Poppy avrebbe adorato.

La mia coinquilina si affacciò sulla soglia della mia stanza, il corpo nascosto dietro al muro, un sorriso stampato sulla faccia.

«Entra» ordinai, ero sospettosa.

Temevo che volesse sabotarmi. Fece un passo avanti e si sporse oltre l'uscio della porta. Indossava un top con la scollatura all'americana, un paio di jeans scoloriti e delle Converse: la sua idea di vestirsi bene. O, meglio, il suo modo di far saltare i nervi a mia madre. Se non mi avesse uccisa per i capelli, l'avrebbe fatto per aver portato Jocelyn vestita in quel modo.

«Devi cambiarti» le intimai, avviandomi verso il mio armadio.

«No.» protestò lei, battendo i piedi come una bambina. «Io quella roba non me la metto, i tuoi vestiti sono orribili.»

Ero abituata ai suoi commenti sul mio abbigliamento, non ci facevo nemmeno più caso. Li ignoravo e andavo avanti per la mia strada. Nemmeno a me piacevano molti degli abiti che possedevo: la maggior parte erano regali di mia madre, gli altri li avevo scelti basandomi su quello che ne avrebbe pensato lei. Gli unici capi di abbigliamento in mio possesso che avevo scelto in base al mio gusto, erano quelli che usavo per andare a correre, e i pigiami.

I mie pigiami erano comodi e adorabili, ci passavo dentro la maggior parte del mio tempo.

Iniziai a cercare qualcosa che le andasse tra i miei abiti. Jocelyn era più alta di me e leggermente più formosa, quindi qualsiasi cosa le sarebbe andata corta e stretta, le opzioni erano limitate. Scelsi un abito color salvia che a me arrivava al ginocchio, ma che su di lei si sarebbe fermato a metà coscia, a maniche lunghe e con la scollatura a forma di cuore. E vi abbinai un paio di scarpe nere con il tacco alto.

«No.» ripeté, in tono implorante. «Ti prego, non costringermi a mettere quella roba.»

«Non esagerare. Non è poi così male, e questo colore sta bene con la tua carnagione» sbuffai, mettendole l'abito tra le mani. «Mettilo.»

«Ti odio.»

Jocelyn prese a scuotere la testa, ripetutamente, un gesto che faceva spesso quando era contrariata.

«Come, proprio adesso che avevo deciso di dire a mia madre che stiamo insieme?» la stuzzicai, preparando la borsa.

«Davvero?» mi domandò lei, speranzosa.

Scoppiai a ridere, la sua espressione era troppo divertente. «No! Vestiti!»

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