Capitolo 7.

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Il venerdì, con mio grande disappunto, la neve si era sciolta. La temperatura era calata, e la colonnina era scesa di molto sotto lo zero. Quel pomeriggio, mi ero data appuntamento con Jocelyn per studiare insieme in biblioteca dopo le lezioni. Volevo passare minor tempo possibile a casa, così da non riflettere sui possibili motivi che avevano spinto mia madre a venire a New York. La neve e il freddo erano niente, se paragonati al nostro modo di relazionarci.

La Low Memorial, oltre ad essere il centro amministrativo della Columbia, era anche una delle biblioteche più grandi e rifornite del campus. Nonché uno dei miei posti preferiti.
Si trattava di un monumentale edificio a forma di croce greca e ispirato allo stile neo-classico, che richiamava molti degli elementi del Pantheon romano.
Il via vai di gente era pressoché infinito, ma si riusciva sempre a trovare un tavolo a cui sedersi, o un posto tranquillo tra gli scaffali per studiare.
Quel giorno, per nostra fortuna, trovammo subito posto davanti al bancone del servizio informazioni. Avevo spento il mio cellulare, -sembrava proprio che la gente si divertisse a cercarmi nei momenti meno opportuni, e studiare era tra questi-, il libro di testo era aperto davanti e a me e stavo rivedendo un paio di appunti, quando successe l'impensabile. Jo mi diede una gomitata sul braccio e la mia mano scivolò lungo il foglio, tracciando una linea verticale nel bel mezzo di un paragrafo.

«Ma che cavolo», sussurrai, nel voltarmi verso di lei.

Ma Jocelyn non mi stava guardando, la sua attenzione era attratta da altro. Invece di seguire la direzione dei suoi occhi, la osservai mentre si  abbassava leggermente la maglietta sui fianchi così che il tessuto aderisse meglio sul davanti. Una volta finito, usò il mento per indicarmi un punto davanti a noi, alzò un braccio e l'agitò per attirare l'attenzione di qualcuno.
Mi girai e li vidi anche io: Shawn e Brent.

Alla Low Memorial? Che ci facevano quei due lì? Brent ci notò e diede di gomito al suo amico, attirando la sua attenzione. Il ragazzo d'oro sorrise quando i suoi occhi si posarono sulla mia amica, anche a quella distanza, non mi fu difficile intuire che era arrossito, di nuovo.

Brent si diresse verso di noi e l'amico lo seguì immediatamente.

«Ciao», ci salutò il primo, abbassandosi per sussurrare.
I suoi occhi incontrarono i miei e mi sorrise. Ricambiai il suo sorriso, ma non il suo saluto. Qualunque cosa stessero facendo lì non mi interessava. Qualsiasi cosa relativa a loro, alla band in generale, o a Jared in particolare, non mi interessava. La psicologia clinica, quella era interessante. Loro no.

«Che ci fate qui, ragazzi?», cinguettò la mia migliore amica, a bassa voce.

Come riuscisse a flirtare e a tenere un tono di voce basso allo stesso tempo, per me, era un mistero. Quando era Chanel a farlo la sua voce saliva sempre di due ottave, e assumeva un tono stridulo che mi dava sui nervi. Perché i ragazzi dovrebbero trovare attraente una cosa del genere? Secondo me risultava solo fastidiosa.

«A Shawn serviva un libro», fu Brent a rispondere.

Il mio sguardo scattò verso l'alto, e studiai l'altro ragazzo. I suoi capelli castani e corti erano tirati all'indietro, gli occhi color nocciola non si staccavano mai dalla ragazza seduta al mio fianco, le guance erano arrossate e aveva un sorriso ebete stampato in faccia: il poveretto aveva bisogno di una mano.

«Frequenti la Columbia?», chiesi, fingendomi coinvolta dalla loro conversazione.

La mia domanda bastò a riscuoterlo dal suo stato di trance e lo riportò alla realtà, e a quello che stava succedendo.

«No, l'NYU», rispose Shawn, con un sorriso. «Storia della Musica.»

«Sembra davvero interessante», commentò Jocelyn, sporgendosi verso di lui.

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