Capitolo 16

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Anche l'altro fagottino era per me. Per merenda, aveva detto, come se fossi una bambina che aveva bisogno di portarsi dietro uno spuntino: incredibile. Per anni non si era curato di me, ed adesso era così premuroso da farmi venire i brividi.

Jared si fermò davanti al campus, spense la macchina e aprì la portiera. Lo bloccai afferrandolo per un braccio. «Dove stai andando?»

Lui mi guardò come se gli avessi posto la domanda più stupida del mondo. Il suo sguardo si spostò sull'edificio che sorgeva alle mie spalle, per poi tornare al punto di partenza, me.
No. Era impazzito, per caso? Non avrebbe attraversato con me il prato che portava verso la costruzione che costituiva il dipartimento di Psicologia, né camminato al mio fianco lungo i corridoi, per poi lasciarmi davanti alla porta dell'aula. Chanel frequentava la stessa Università, avrebbe potuto vederci. E, ricordai in quel momento, di aver vagamente gongolato nella sua direzione la sera precedente, mentre Jared mi portava fuori dal FREEDOM. Sulla sua spalla, mi coprii gli occhi con le mani davanti a quel ricordo.

Davvero gran bella mossa, Alex. Mi rimproverai. Avevo già abbastanza problemi, preferivo non crearne di nuovi.
E Poppy è incinta, ringraziai Gollum per quel promemoria. Giusto quello di cui avevo bisogno.

Jared mi stava scrutando con aria inquisitoria e io scacciai quei pensieri con una scrollata di spalle, dovevo concentrami.

«Sei davvero molto gentile.» Perché cavolo sei gentile? Non riuscivo a togliermi dalla testa l'idea che per lui fosse solo un gioco. Ero solo il suo nuovo giocattolino, una volta stufo mi avrebbe buttata via. «ma non è necessario.»

Jared provò a replicare e io, gli coprii la bocca con la mano. «Sono seria, non voglio essere accompagnata a lezione da te.»

Le sue dita si serrarono intorno al mio polso e, prima di allontanare la mia mano dalla sua bocca, premette le sue labbra contro il palmo. Il mio cuore entrò in fibrillazione, maledizione Jared. Ero certa che potesse sentirlo, le sue dita erano ancora chiuse intorno al mio polso.

«Ti chiamo più tardi, piccoletta.»

Ero fregata. Come potevo resistergli quando diceva quel genere di cose? Doveva chiudere quella dannata bocca. E doveva farlo prima che ci pensassi io.

«Vado», annunciai, spalancando la portiera e sporgendomi fuori dall'abitacolo.

Non potevo restare la dentro neanche un solo secondo di più. I miei polmoni continuavano a gonfiarsi in cerca d'aria, ma non ne trovavano abbastanza. Ogni singola particella d'ossigeno era pregna dell'odore di Jared, respirare era sempre più doloroso.

«Ci sentiamo dopo, piccoletta.» mi salutò.

Ci. Sentiamo. Dopo. Sperai fosse una minaccia, perché non credevo nelle promesse. Ed era possibile che portasse a compimento una minaccia, ma era improbabile che mantenesse una promessa.

Chiusi la portiera ed inspirai a pieni polmoni: aria pulita. Aria in cui lui non c'era. Fu come tornare a respirare dopo aver trattenuto il fiato, me ne serviva ancora. Inspirai una seconda volta, una terza e una quarta. La Dodge era ancora parcheggiata dietro di me.

Mi allontanai a testa alta, la mano che Jared aveva baciato premuta contro il petto e l'altra stretta intorno al manico della borsa. Mi avviai di corsa verso l'edificio, salii gli scalini ed entrai. Continuai a camminare con lo sguardo fisso di fronte a me, e mi diressi verso la mia aula. Jocelyn mi stava aspettando con una busta in una mano e la borsa con dentro libri e quaderni, nell'altra.

Quando la vidi le lanciai il sacchetto contenente la mia "merenda". «Questo è per te.»

Le strappai le cose di mano e andai in bagno. La mia migliore amica mi fu subito dietro. Chiuse la porta a chiave ed io entrai nella prima cabina. Ricordavo vagamente di aver letto da qualche parte che il bagno più vicino all'ingresso era sempre il più pulito, perché le persone pensavano sempre che fosse il più utilizzato e quindi il più sporco, e decidevano di evitarlo.
Chiusi la tavoletta del water e ci posai sopra le borse. Aprii la busta con dentro il cambio, ma che cosa?

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