Capitolo 25.

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Finite le vacanze di primavera erano iniziate le lezioni e, una settimana dopo il mio primo appuntamento con Jared, Mimi – a volte facevo ancora fatica a chiamarla con il suo nome – era riuscita a mettermi alle strette ed a chiedermi che cos'era successo durante la sua assenza. Alla fine, le avevo raccontato tutto ciò che voleva sapere. La sua curiosità mi sconcertò. In tre anni non mi aveva mai fatto così tante domande come in quel giorno. Sembrava una mitraglietta: non avevo finito di rispondere ad una, che subito ne aveva pronta un'altra ed un'altra ancora. Capii che nutriva un interesse quasi morboso per i dettagli e più gliene fornivo, meno quesiti mi poneva.

«Quindi, adesso state insieme?» chiese Kacey, con uno strano luccichio negli occhi.

Era quasi inquietante. Continuava a sorridere come se soffrisse di una paresi facciale ed a far dondolare la testa scuotendo la coda di cavallo mentre mi fissava; con aria sognante.

Devo ammettere, che quella domanda mi sembrò stupida. Non era ovvio? Per me era così. Ma le convenzioni sociali mi imponevano di replicare in modo educato; e di mettere a tacere quella vocina che nella mia testa che voleva darle della stupida solo per aver posto una domanda così scontata.

Le rivolsi un semplice cenno d'assenso, pregando di saziare così la sua fame di curiosità. Ma quella ragazza era un fiume in piena, e dato che la diga era stata aperta, non mi restava che essere sommersa dal suo flusso. Non contenta, mi chiese di ripetere tutto quanto da capo e fece altre domande riguardarti la nostra vita ed il passato delle nostre famiglie.

«I Jarex.» sospirò, alla fine del mio racconto.

Già, quello stupido nomignolo. La ignorai e provai a concentrarmi sul mio libro di testo. Solo un paio di giorni prima avevamo ricevuto i risultati del nostro ultimo esame e non ero molto soddisfatta della mia A meno. Non avevo mai preso meno di A, la cosa non si sarebbe ripetuta. Quello fu il mio primo brutto voto e anche l'ultimo.

Tentai di mettere a tacere la vocina insistente di Kacey che dipingeva possibili scenari che ci ritraevano tutti insieme, ad un'uscita di gruppo. Mi fu impossibile. La sua voce era davvero fastidiosa. Sembrava quella di una bambina alla costante di ricerca di attenzioni. Chiusi gli occhi e gettai la testa all'indietro, sospirando esasperata.

«Potremmo organizzare un'uscita a quattro per il prossimo fine settimana, che te ne pare?» propose lei.

Che preferirei prendere a testate questo tavolo fino a svenire. E solo per non dover più sentirti la tua voce.

Un po' mi dispiacque per lei, non era colpa sua se ero di pessimo umore. Quel voto aveva influito sul mio morale, annullando l'effetto positivo ed appagante che derivava dal rilascio di endorfine prodotto dall'attività fisica che svolgevo regolarmente. E dai baci di Jared.

Mi sgranchii il collo e riflettei, alla ricerca di un modo gentile per declinare la sua offerta. Kacey non mi diede il tempo di dire nulla, perché riprese a parlare.

«Ti conviene guardarti le spalle.» m'intimò, indicando un punto  imprecisato dietro di me con l'evidenziatore giallo che teneva in mano.

Mi voltai per guardare ciò a cui stava facendo riferimento. O meglio, a chi si sta riferendo: Chanel. Era appoggiata contro gli scaffali di una libreria, con le braccia incrociate contro il petto. I capelli biondi le ricadevano in onde ordinate intorno al viso, regalandole un aspetto angelico. Le labbra color prugna strette in una linea sottile e gli occhi azzurri fissi su di me, dissiparono quell'illusione. Se lei era un angelo, era uno di quelli che preannunciavano la morte. Era evidente che lei sapesse, e questo poteva voler dire una sola cosa: guai in vista.

Perché? Che cos'ho fatto di male per meritarmi tutto questo? Voglio solo essere felice.

«Come fa a saperlo?» interrogai la mia vicina, tornando a rivolgermi a lei.

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