Cap. XXI

160 7 0
                                    

La più grande prigione in cui le persone
vivono è la paura di ciò che pensano gli altri
D. Icke


Guardai indignata davanti a me, le persone che passeggiavano tranquille chiacchierando, alcune piene di borse, altre con solo qualche sacchetto in mano, e poi quelle che non avevano nulla e correvano e imprecavano al telefonino, o aspettavano impazienti che il semaforo si facesse verde.

– Che stronzo. Poteva dirtelo fra un bacio e l'altro! Tipo: " Ehi, guarda che anche io e la mia famiglia veniamo alla Scala!" Non ci vuole un genio per dire questa frase! –

Sbuffai, passando accanto all'ennesimo bar.
Mia zia ci aveva portato in corso Buenos Aires, a Milano dove ero certa che avrei trovato scarpe, vestito e anche qualche gioiello da abbinarci. Avevo cercato tra quelli di mia madre e ne avevo presi un paio, che avrei messo nell'eventualità che si fossero abbinati con qualsiasi cosa mi fossi comprata.

– Sono incazzata con lui. Lo strangolerei! – borbottai a denti stretti, mentre sentivo la rabbia scemare. Parlare con Arianna aveva sempre un grande effetto terapeutico e in quel momento ne avevo bisogno. – E anche mio padre! É a casa ogni giorno, cosa gli costava dirmi che sarebbe venuta anche la famiglia di Luca. E lui. –

– Dai, andiamo qui dentro. Sembra promettente. In caso contrario... continuiamo la ricerca – disse, aprendo la porta della piccola boutique con abiti da sera in bella vista e cartelli con "Scontato" appesi alla vetrina

La zia, che era rimasta dietro quando avevamo iniziato a parlare più animatamente, entrò dopo di noi salutando l'unica commessa all'interno.

– Salve, posso esservi utili? – chiese la donna, vicina alla mezza età. Aveva un vestito uscito sicuramente su qualche rivista, i capelli lisci erano sciolti e occhi scuri come i capelli ci osservavano, cercando di capire se eravamo clienti promettenti o le avremmo fatto solo perdere tempo.

– Si, cerchiamo un abito da sera, nero o rosso, e che sia sensuale – annunciò Arianna, non lasciandomi nemmeno il tempo di dire qualcosa. Mi aveva spiegato che, visto che c'era anche Luca, non dovevo lasciarmi sfuggire l'occasione e spendere i soldi dei miei diciassette anni in qualcosa di utile.

Lei aveva accennato a dei preservativi, al che per poco non mi era andata di traverso la coca-cola che stavamo bevendo.

Quella scema si era messa a ridere e aveva ricevuto occhiate perplesse dai passanti. L'abito me lo avrebbe regalato papà, ma dovevo stare entro un certo limite. Sapeva quanto mi piacessero questi eventi, e visto che per i miei diciassette mi aveva regalato un buono era arrivato il momento di spenderlo e reclamare parte del mio regalo.

Il buono era un modo che avevamo escogitato io e lui per evitare di prendere doni inutili e dover fingere che ci piacessero. Aveva iniziato ad adottarlo anche la zia, quando non sapeva più cosa regalarmi. Si trattava di un biglietto che dava la possibilità di comprare qualsiasi cosa si volesse, sotto un tetto che si stabiliva precedentemente. Il mio buono di compleanno lo avrei speso per un vestito da sera e non potevo essere più felice.

La commessa annuì, sorridendo davanti ad Arianna e alla sua sicurezza. – Certamente. Per chi è? –

Alzai timidamente la mano, non abituata come Arianna a fare shopping e parlare con le commesse, solitamente me la sbrigavo da me.

La donna mi squadrò, come se volesse capire la mia taglia, e andò verso le scale, facendoci cenno di aspettarla.

Guardai eccitata la zia e Arianna, che si era persa a osservare abiti più alla mano esposti su grucce brillantinate. Era un po' troppo chic quel posto, ma speravo di trovare il mio vestito.

Arianna si voltò, agitando una mano davanti al volto mentre con l'altra teneva un vestito giallo canarino, con la gonna fatta di piume. – Mi è semblato di vedele un gatto – cinguettò, imitando Titti e facendoci ridere.

Ridacchiò anche lei e guardò l'etichetta del vestito. – Che canarino costoso. Centoventi euro per queste quattro piume... –

Lo rimise a posto quando sentimmo i tacchi della commessa mentre tornava all'ingresso, tenendo tre vestiti; due rossi e uno nero.

Mi si seccò la gola. Se quel canarino costava centoventi euro quanto dovevano costare quei cosi lì. Anche se il buono era abbondante non volevo forarlo, anche perché mancavano le scarpe. Ma quelle Arianna poteva prestarmele, avevamo la stessa misura e la sua scarpiera aveva all'incirca la stessa capienza e popolazione di un negozio di scarpe.

– Tenga, si provi questi nei camerini –

Mi alzai, seguita, e andai verso quel microsgabuzzino con una tendina rosa, prendendo i vestiti che la commessa mi passava.

– Questo – annunciò Arianna, talmente sicura che le avrebbe creduto persino la persona più scettica e indecisa del mondo. – Questo è il tuo abito. Me lo sento. Provatelo – disse, indicando quello nero in mezzo ai due rossi.

– Sicura? –

– Si carissima, è quello. E ora cambiati o – si girò, guardando mia zia e sorridendole con aria da innocente. Sapeva di non poter nominare l'idiota, la zia lo conosceva e non volevo che lo sapesse. Tirò la tenda e mi lasciò sola in quel posto, una musica classica più udibile grazie alle casse sistemate appena fuori.

Sospirando, non più molta sicura di voler andare alla prima quella sera, mi tolsi i jeans, il maglione nero e la giacca di camoscio per sostituirli con la stoffa morbida del vestito, che scoprii essere decisamente più bello addosso.

Mi aderiva alla perfezione nei punti giusto, e il collo di brillantini non era asfissiante come pensavo; solitamente non indossavo nemmeno le maglie con il collo alto perché mi sentivo soffocare, ma quello mi lasciava libertà. La fascia del reggiseno era visibile e avrei dovuto toglierlo ma lo scollo che avevo dietro alla schiena era decisamente sexy, come il piccolo scollo sul davanti.

– Fatto – annunciai, guardandomi allo specchio affascinata. Mi ero innamorata di quell'abito. Arianna aveva ragione, era quello giusto.

– Misericordia santissima! Mi sto commovendo – scherzò Arianna, fingendo di asciugarsi le lacrime. Si girò verso la commessa, un sorriso sicuro. – Lo prendiamo –

– Stai veramente bene Sofia – commentò la zia, accarezzandomi le spalle nude e sorridendomi. – Sei bella come tua mamma –

Posai la guancia sulla sua mano. – Grazie –

Avevo paura a guardare quanto costasse quell'abito, speravo solo che il prezzo non superasse i duecento.

Il cuore mi si riempì di gioia quando Arianna prese il cartellino e lesse dieci euro meno della cifra del Bonus. Ci avrei abbinato i gioielli di mia madre e avrei chiesto le scarpe ad Arianna, ma quell'abito doveva essere mio.

La mia migliore amica mi cinse in un abbraccio, sapendo che era una delle poco ad avere quel privilegio. – Luca impazzirà. Fidati, quest'abito farà colpo –

Sorrisi orgogliosa. Era l'unica cosa che speravo.

Volevo mettere una scena del genere nel mio libro, anche se avevo iniziato a pensare di farlo più fantasy che romantico, ma più il tempo passava e più il personaggio maschile assomigliava a Luca; sia nell'aspetto che nel carattere. E questo dovevo ancora capire se fosse positivo o negativo.

Sospirai, al settimo cielo, e cacciai tutti fuori dal camerino per potermi ricambiare. 

Come Neve D'EstateWhere stories live. Discover now