capitolo cinque

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Oscurità.

L'oscurità mi circondava e sembrava ingoiarmi. Potevo sentire la sua strana freddezza, non era solo un vuoto colore nero. Era come se l'oscurità fosse indipendente, qualcosa di oppressivo e ghiacciato. Il panico si diffuse in me e trovai difficile respirare. Non mi piaceva. Non volevo altro che scappare dal buio, ma continuava a tenermi bloccata dentro di sè.

Aprii la bocca per gridare, ma fu come se le dita di qualcuno mi si avvolgessero intorno alla gola. Non emisi un suono, non riuscivo nemmeno più a respirare. L'oscurità mi soffocava, portandomi via, provando a distruggermi.

E improvvisamente capii.

L'oscurità.

Era davvero un individuo, ma aveva anche un altro nome.

Morte.

Appena lo capii, smisi di lottare e mi lasciai cadere nella profondità del buio. Sapevo che non potevo lottare contro qualcosa di potente e distruttivo come la Morte. Nei meandri della mia mente, volevo anche che mi portasse via.

Il mondo sarebbe stato migliore senza di me. Non sarebbe importato alle persone se me ne fossi andata. Meritavo di morire comunque.

Mi lasciai trasportare ed ero pronta a toccare il fondo, un posto da dove le persone non tornavano.

Ma qualcosa catturò la mia attenzione.

Sollevai la testa e aguzzai la vista. C'era qualcosa che stava cadendo lentamente verso di me. Qualcosa di piccolo e...blu. Un luminoso blu profondo che sembrava essere così delicato, così bello nell'oscurità. Sollevai la mano e guardai la piccola cosa blu poggiarsi delicamente sul mio palmo.

Era un petalo. Un petalo blu.

Mentre lo fissavo, un'improvvisa sensazione di serenità mi travolse e l'oscurità intorno a me iniziò a svanire. Mantenendo ancora il piccolo petalo, me lo avvicinai prima di chiudere gli occhi...

"Heather, tesoro. Sei in ritardo per la scuola."

Presi un profondo respiro e sbattei rapidamente le palpebre, prima di aprire gli occhi. Il tranquillo rumore della pioggia riempiva la mia stanza bianca e potevo anche sentire il cane dei miei vicini abbaiare.

Era solo un sogno. Solo un sogno.

Provavo ancora quella strana sensazione dentro di me. Come se fosse davvero successo.

Voltai la testa di lato. Mia madre era in piedi alla porta, un piccolo sorriso sulle sue labbra, ma potevo vedere cosa nascondeva. Provava a nascondere la sua stanchezza. Doveva essere stata una lunga notte in ospedale.

Mi misi seduta senza nessuna esitazione e allontanai una ciocca di capelli dal volto, prima di alzarmi e camminare verso mia madre. Avvolsi le braccia intorno al suo corpo e lei rispose al mio abbraccio quasi immediatamente. Il suo tenue profumo riempì le mie narici quando strofinai il volto sulla sua spalla. Odorava di casa.

"Dovesti riposarti, mamma." mormorai. Non potevo fare a meno di sentirmi triste quando vedevo mia madre stanca. Il lavoro le prendeva quasi tutto il suo tempo e l'energia e mi sentivo davvero male che non potessi fare nulla per aiutarla. L'unica cosa che avevo fatto era stato aggiungerle il carico. E mi odiavo per quello. Nonostante avessi provato a cercare un lavoro per aiutarla a pagare i debiti che il mio cosiddetto padre ci aveva lasciato, non avrebbe cancellato ciò che avevo fatto. Non avrebbe cancellato l'espressione contrariata con la quale a volte mia madre mi guardava. Non la giudicavo, ero un fallimento. Non mi sorprendeva che non avessi trovato un lavoro. Nessuno avrebbe voluto lavorare con una ragazza diciassettenne il cui nome aveva una fedina pernale.

"Ho fatto i pancake. Penso tu abbia ancora tempo per fare colazione se fai veloce," disse mia madre dopo essersi allontanata dall'abbraccio. Forzai un sorriso sul mio volto e annuii, nonostante il cibo fosse l'ultima cosa che volevo ora. Non meritavo di mangiare, non meritavo neppure di vivere in questa casa dopo quello che avevo fatto.

Per favore, perdonami mamma. Perdonami per essere stata una cattiva figlia. Perdonami per non essere stata capace di cambiare il mio passato.

***

"Heather?"

Stavo camminando lungo il corridoio affollato della scuola, ma, dopo aver sentito di essere chiamata, mi fermai e mi voltai. I miei occhi incontrarono un paio luminosi castani, che mi guardavano con lo stesso sguardo sereno che avevo sempre visto in essi.

"Oh, ciao Zayn." salutai il ragazzo moro, ringraziandolo segretamente di essere stato lui a chiamarmi. Non ero dell'umore di affrontare per la seconda volta oggi persone che mi odiavano fortemente. In mattinata era già stato abbastanza per me e dovevo lottare contro la voglia di saltare scuola per quelle stronze a cui piaceva rovinare la mia vita, come se non fosse già rovinata.

"Volevo solo chiederti se hai un libro di chimica per il quarto corso? Non riesco a trovarlo in libreria. Ti prometto che te lo pago se lo hai."

Wow. Non avevo mai sentito Zayn dire così tante frasi di fila. La pianta sul suo braccio era la lavanda, simbolo di serenità e silenzio. Ecco perchè non si riusciva a sentirlo parlare molto, era calmo la maggior parte delle volte, ma anche molto attento. Di solito nulla gli passava inosservato.

"Sì. Penso di averlo da qualche parte a casa. Ma non devi pagarlo. Posso dartelo gratuitamente," mi offrii gentilmente. Zayn scosse la testa.

"No. Lo pagherò." disse tranquillamente ma con enfasi. Poi mi osservò in silenzio per un momento prima di parlare di nuovo.

"Uno di quei giorni, vero?"

Non ero sorpresa che l'avesse notato. Io e Zayn non eravamo propriamente amici, ma nemmeno completi sconosciuti. Avevamo avuto alcune lezioni insieme a volte e spesso ci salutavamo nei corridoi. Comunque, era l'unico che sembrava notare quando era uno di quei giorni. E sapevo che mi capiva, nonostante parlasse appena. Neppure Carine sapeva sempre cosa stessi affrontando.

Deglutii, prima di annuire. Le parole di Zayn mi fecero aumentare il tormento che provavo dentro e apparentemente riuscì a notarlo, perchè si avvicinò e mi mise una mano sulla spalla.

"Ignorali. Sono solo dei coglioni," disse a bassa voce. Lo guardai prima di sospirare.

"Ci sto provando, Zayn. Davvero," risposi. La mia mente iniziò a riempirsi delle loro voci derisorie e, non importava quanto ci provassi a spingerle via, riuscivo comunque a sentirle. Sentire cosa mi aveva detto in mattinata mentre ero seduta nella classe di francese.

"Sei una fottuta omicida. Non ho idea di cosa tu ci faccia ancora in questa scuola."

"Beh, io non idea del perchè stia ancora respirando. Perchè non ha avuto una sentenza a morte per quello che ha fatto?"

"Hai sentito, Heather? Perchè sei ancora viva?"

"E' meglio che tu muoia presto, stronza. Nessuno ha bisogno di un omicida che cammini in cerca di una prossima vittima."

Una lacrima minacciò di scivolarmi lungo la guancia, ma mi morsi il labbro rifiutandomi di piangere. Penchè piangere quando avevano ragione? Non meritavo di vivere.

Non meritavo di continuare con la mia vita quando lei era morta a causa mia.

The Blue Rose [h.s. - italian translation]Where stories live. Discover now