▫️Capitolo XLV

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«Stai tremando» osservo, producendo una piccola nuvola gialla a forma di pera rovesciata nell'aria.

Thompson intensifica la presa sulla soffice stoffa del pigiama caramelloso. «Ma n-no! N-non m-mi d-dire! S-s-s-t...»

«Stupido palo dai capelli color latte scaduto» completo, imitando la sua voce e finendo però con il tossire come un vecchio barbone ubriaco. Scaccio via con una mano un serpentello di fumo. Ci mancava solo il gelo, quello che perfora la carne fino a leccare le ossa.

«Mi leggi pr-roprio nella m-mente!» replica, esibendosi poi in una serie di buffi starnuti. Come da copione, dalle narici arrossate vengono sparati fuori due getti di fumo dorato.

Da quando la sabbia rosa si è compattata fino a formare la strada di vetro violaceo che stiamo percorrendo, ogni nostra reazione fisica al calo spaventoso della temperatura si traduce in una produzione di uno strano vapore giallognolo. La tosse genera bisce leggere e spumose, gli starnuti producono geyser ed ogni parola dà vita ad ammassi dalle forme più fantasiose.

«Oh dai, ammettilo che ti piace.»

«Cosa?»

Le mie labbra – ormai viola e screpolate – si piegano in un sorriso ammaliante. «Il fatto che sto iniziando a conoscerti talmente bene da riuscire a prevedere le tue mosse future. Sei un libro aperto per me, Thompson.» Magari lo fossi, sei come un flipper mutante. Inarrestabile e senza controllo.

Thompson emette ciò che comunemente sarebbe chiamato "risata falsa", ma che ora assomiglia più a uno starnazzo modificato con Auto-Tune. Dopo che ha ingerito una buona dose di aria da freezer, ricaccia indietro la lingua e si accuccia a terra, appallottolandosi.

La fisso dall'alto. Sembra un cucciolo di orso smarrito, e glielo comunico, ovviamente.

«Eh!?» grida, facendo crepare il vetro sotto ai nostri piedi. Però, ha ancora energie in corpo la piccoletta.

«Calmati, Yogi.» La strada è costeggiata da due schiere di edifici – privi di qualsiasi dettaglio, a partire da porte o finestre, il che li rende assai inquietanti – i cui colori si alternano tra il bianco e il nero, come i tasti di un pianoforte.

«Oltre a tutto questo, devo sopportare anche te...» borbotta, percorrendo con le dita le ragnatele incise nel vetro. Il cupo viola copre qualsiasi cosa si possa celare là sotto, sempre se ci sia effettivamente qualcosa.

Distolgo lo sguardo e sfrego una mano sulle braccia infestate dalla pelle d'oca. «Secondo te da quanto siamo qui?»

«Abbastanza da avere il sangue congelato nelle arterie» afferma, poggiando entrambe le mani sul vetro. Esercita la forza necessaria per lasciarci le sue impronte e poi si alza di scatto in piedi, con un salto da rana. «Hai sentito?» Sarà la settima volta che fa questo rituale. E la cosa che mi preoccupa di più non è il gesto in sé, ma è il fatto che io ne abbia tenuto il conto.

«Ti sento sempre, purtroppo.»

Mi lancia un'occhiata furente. «Smettila e usa i tuoi quattro neuroni per prestare attenzione a quello che ti dico.» Sospira, producendo una mela gialla. «Sento delle voci.»

Voci. Come dovrei replicare? Dato il contesto in cui ci troviamo forse dovrei prenderle tale ammissione con serietà. Forse.

«Quando hai fissato la prima seduta dello strizzacervelli?» chiedo, ricevendo subito un pugno in pieno stomaco che – tenendo conto del mio pietoso stato fisico e psichico – mi manda al tappeto. La mia mandibola perfetta accoglie con virilità suprema l'incontro con il duro vetro, difatti caccio un urlo acuto.

The Mirror of ShadowsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora