Cantami, o diva...

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Cantami, o diva, del nobile Perseo, figlio di Poseidone,
che combatté, insieme alla progenie di Efesto, Ade e Apollo, contro i Romani,
e lottò per la patria, affrontando il divino Giasone, figlio di Giove e il figlio di Marte glorioso.
Conobbe la figlia della saggezza, perdendosi nei suoi occhi grandi e intelligenti, e la portò con sé, nella nobile casa, ad Atene.
Racconta anche a noi, o dea, del suo potere sulle acque del mare.
Gli Dei tutti stavano a guardare la battaglia furiosa, da quando tra il re degli dei, Zeus, e il signore del mare, Poseidone, s'inasprì il litigio sull'eroe più valoroso...

Quel giorno combatterono valorosamente, ma purtroppo senza la vittoria di nessuno.
All'accampamento greco, Perseus, chiamato dai suoi amici Percy, si stava divertendo con i compagni.
-Un gran bel bottino. -disse Leonida, conosciuto come Leo, mentre ridevano attorno al fuoco. -La ricompensa del re è ottima.
Risero.
-Veramente non ho ancora avuto il piacere di vederla. -commentò Percy.
-I Romani si sono ripresi la schiava. -stava dicendo Nicholas, alias Nico, al suo compagno William, ossia Will.
-E la bellissima figlia di Afrodite e del defunto re di Sparta. -disse il figlio di Apollo.
-L'Oracolo di Delfi ci aveva avvertiti. -disse Percy alzandosi. -Domani sarà una lunga battaglia, amici miei, ci vedremo all'alba.
E si congedò.

All'accampamento romano, Giasone (o Jason) camminava avanti e indietro per la tenda, dove c'erano anche il suo fidato amico Frank e una bellissima principessa romana figlia di Bellona, Reyna.
-Hanno rapito la più bella della città. -commentò Jason. -Oltre alla schiava.
La principessa annuì: -La mia fidata ancella e amica.
-Dobbiamo considerarci fortunati. -disse Frank, che lucidava la lancia. -Non hanno preso voi. Vostra sorella non ce lo avrebbe mai perdonato.
-Sono venuta di mia volontà qui, a combattere con i miei guerrieri. Mia sorella lo sa. -Reyna sorrise.
Furono interrotti dalle risate dei soldati e dalle urla di una ragazza.
Jason uscì a vedere.

Intanto...
*Percy*
Entrai nella mia tenda, ma capii che non era vuota. Sentii dei singhiozzi, così accesi le torce.
-Chi va là? -chiesi mettendo mano all'elsa della mia spada.
Poi la vidi.
La ragazza aveva le mani legate da una corda fissata poi ad una colonna che sosteneva la tenda: piangeva, spaventata, e stava rannicchiata per non farsi vedere.
Dei, era stupenda: aveva lunghi boccoli biondi, occhi grigi e tempestosi, indossava una veste bianca senza maniche, con dei decori oro lungo la scollatura e i bordi e una cintura dello stesso colore. Era imbavagliata, forse per impedirle di urlare.
Appena mi vide, si nascose di più dietro la colonna, singhiozzando disperata.
-Non avere paura. -dissi e mi diedi dello stupido da solo: era logico che fosse terrorizzata.
Mi avvicinai piano piano e mi inginocchiai accanto a lei, che distolse lo sguardo da me e cercò di allontanarsi di più, cosa che non poteva fare essendo vicino alla stoffa della tenda.
-Shh. -la tranquillizzai sorridendo. -Non voglio farti nulla.
Notai che aveva una ferita alla fronte, forse l'avevano colpita per prenderla senza che lei opponesse resistenza.
Tolsi il bavaglio che le impediva di parlare, rivelando le labbra carnose e rosee.
-Va meglio così, non credi? -le chiesi.
Lei fece un sì incerto con la testa: tremava e le lacrime continuavano a scendere dai suoi bellissimi occhi.
Doveva essere lei la ricompensa del re: una schiava romana.
-Chi ti ha legata? -chiesi slegando la corda che la teneva ancorata alla colonna. -Lo sai?
Lei fece no con la testa.
-Eri svenuta?
La ragazza annuì, massaggiandosi i polsi scorticati.
La guardai, poi mi alzai e le porsi la mano.
-Vieni. -le dissi mantenendo il sorriso. Lei guardò prima me, poi la mia mano.
-Guarda che non mordo, lo giuro.
Lei sorrise debolmente e prese la mia mano. Si mise in piedi, barcollando e notai che aveva una caviglia incatenata alla stessa colonna.
-Aspetta. -in qualche modo riuscii a liberarla. -Ecco.
Non piangeva più, ma aveva gli occhi rossi e i segni delle lacrime sulle guance.
Le afferrai le mani e la feci sedere sul letto, poi presi un panno e dell'acqua per medicarle le ferite.
-Farà un po' male, ma poi starai meglio. -le dissi inginocchiandomi davanti a lei.
Iniziai dalla fronte, dove era sporca di sangue. Lei non disse nulla e mi lasciò fare.
-Sei molto bella, lo sai?
La ragazza mi sorrise di nuovo.
Passai ai polsi.
-Come ti chiami? -le chiesi. Lei guardava le mie mani che le curavano le ferite.
-Annabeth. -disse. La guardai negli occhi e le sorrisi.
-Un bellissimo nome, Annabeth.
-Lo ha... lo ha scelto mia madre.
Annabeth tremava ancora.
-Finito. -dissi.
-G-Grazie. -balbettò Annabeth.
Le misi i capelli dietro l'orecchio.
-Non sei una semplice contadina, vero? -dissi accarezzandole il viso.
-Sono un'ancella della principessa Reyna. -lasciò che la mia mano le toccasse il viso.
-Sei mai uscita da Roma?
-No. Ci sono nata, ma mio padre è di origini greche. -Se era spaventata, non lo faceva vedere. -Mia madre... mia madre è Atena.
-Allora sei una semidea. -mi avvicinai. -Come me.
-Siete un semidio?
-Mio padre è Poseidone. -le spostai i capelli sulla schiena, per vedere meglio il suo volto. -E non darmi del voi.
Annabeth annuì, poi abbassò lo sguardo.
-Stai bene?
-Mi... mi porterai via, non è così? -la sua voce era rotta dal pianto. -Mi porterai in Grecia.
Ecco quello di cui aveva paura.
Non la biasimavo, per lei, che non era mai uscita dalla città in cui era nata, essere portata via a forza era una tortura.
-Se lo desideri, posso liberarti. -le dissi, ed ero sincero. -Io sono qui perché mio padre e Zeus hanno litigato.
-No, io... verrò a casa tua. Sono il tuo "bottino di guerra"...
-Non dire così. Io non voglio definire un persona un oggetto. Non sono Agamennone. -presi il viso di Annabeth e la feci voltare verso di me. -Mettiamola così: sei una ragazza che per la prima volta esce dai confini della città.
Lei riuscì a ridere e mi fece bene al cuore.
Le labbra di Annabeth erano a poca distanza dalle mie.
-Se verrai ad Atene, sarai la mia regina. -dissi. -Non ti tratterò come un semplice oggetto. Te lo giuro sullo Stige.
Annabeth annullò le distanze tra di noi.
-Grazie. -sussurrò.
Fu il mio primo bacio. E fui felice di averlo dato proprio alla ragazza che divenne mia moglie.

One Shots... MezzosangueWhere stories live. Discover now