Capitolo 4

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Ci sono giorni in cui mi sembra di soffocare. Giorni in cui la mia mente sadica si diverte a ripensare agli anni che mi sono lasciata addietro e capisco che alcune di quelle profonde cicatrici mi appartengono ancora. Giorni in cui le lacrime affiorano e con loro echi di risatine, commenti pungenti, nomignoli poco simpatici e disegnini offensivi. 

Perché anche se sono fuggita dal loro veleno e mi sono costruita questa barriera insormontabile, nulla impedisce ai miei demoni di farmi ancora del male. 

Ricordo alla perfezione il coro delle loro voci che mi diceva di non essere abbastanza e che si ripeteva all'infinito nella mia mente, in modo sempre più violento e doloroso. 

Ed ora che ho commesso un errore di tale portata mi ritrovo a chiedere se avessero ragione. Se davvero merito quel poco di felicità che mi resta. Perché, nonostante finga di essere irraggiungibile, quella ragazzina che di notte soffocava i singhiozzi nel cuscino è ancora da qualche parte dentro di me. Anche se cerco di convincermi che non sia così, quella ragazza che non stava più bene con sé stessa, che si sentiva un pezzo di puzzle sbagliato e fuori posto sono ancora io. 

Però stavolta non permetterò loro di annientarmi. So di non essere all'altezza del ruolo di madre che mi è piombato addosso all'improvviso, ma per la prima volta in tutta la mia vita voglio fare qualcosa che non sia scappare. 

Desidero guardare negli occhi i miei demoni e urlare più forte di loro, dimostrare quanto valgo e che non sono i miei sbagli a definire chi sono.

Così eccomi qui, con la mano posata su una porticina azzurro pastello, pronta a risolvere i conti in sospeso con il mio passato. Perché anche se probabilmente le ferite resteranno, so di non poter fare un passo avanti se una parte di me resta intrappolata indietro. 

Spingo la porta d'ingresso lasciata socchiusa della cosiddetta "camera bianca" ed entro in punta di piedi, come se fossi colpevole di un crimine che non ho commesso.

Da quello che ho letto è stato un signore sulla cinquantina ad avere questa idea e creare un luogo in cui tutte le persone senza alcuna distinzione possano "lasciare il segno". Per dimostrare che tutti, persino i più insignificanti, sono in realtà così importanti da lasciare una traccia indelebile e, per non dimenticarlo mai, bisogna lasciare un'impronta della propria mano in questa stanza.

Mentre un intenso odore di vernice si fa strada nelle mie narici e m'inebria il cervello, mi osservo attorno e constato che, rispetto alle foto trovate su internet, nella realtà ci sono molte più mani sulle pareti. Dopo aver dato una rapida occhiata anche ai barattoli di vernice disposti sul pavimento ricoperto di giornali, mi avvicino a piccoli passi verso quell'esplosione di colori che è il muro. Sfioro con la punta delle dita alcune delle orme e mi ritrovo a sorridere. 

So bene che all'apparenza questa sia solamente una stanza con delle mani, eppure mi fa impazzire l'idea che nonostante nessuno sia perfetto, nonostante spesso ci sentiamo invisibili e inutili, siamo molto meglio di quanto potremmo mai immaginare. Questo luogo è una dimostrazione concreta del fatto che anche io sono molto più di tutte le etichette che mi hanno appiccicato.

"A cosa pensi?" mi volto di scatto, spaventata.

"Cosa ci fai qui?" chiedo sulla difensiva non appena mi accorgo della presenza di Cole "Mi hai seguita?"

"Non volevo che vagassi da sola per le strade di Londra, tutto qui" risponde alla mia domanda in tono dolce, ma evasivo "In ogni caso sono felice di essere qui, questo posto è splendido"

"Lo so" questa è la mia giornata e non ho voglia di discutere, perciò decido di allentare almeno un po' la diffidenza che provo nei suoi confronti.

Perfectly WrongWhere stories live. Discover now