Capitolo 35

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Questa sera io e Cole saremo soli a cena, così il moro, armato di tanta pazienza come gli ha consigliato la ginecologa, è uscito a comprare dei tacos dato che ne ho una voglia incontenibile. Mi sto per infilare il mio amato pigiama così caldo e grande che mi dà la sensazione di essere perennemente avvolta in un abbraccio quando il campanello suona. 

Inizio letteralmente a saltellare verso l'ingresso mentre, al solo pensiero di Cole con due dei tacos migliori di tutta Miami, mi viene l'acquolina in bocca.

Spalanco la porta e, non appena mi ritrovo faccia a faccia con il padre biologico di Cole, l'euforia scompare e mi congelo sul posto. L'uomo mi fissa con il suo solito sguardo inquietante ed io devo far ricorso a tutta la forza che possiedo per non restare a guardarlo come una statua impaurita.

"Cole non è in casa" mi limito a dire guardandolo negli occhi cercando di non fargli capire che la paura mi sta divorando. Provo a chiudere la porta il più velocemente possibile, però il suo piede la blocca lasciandola aperta.

"Non sono qui per Cole" fa un passo verso di me ed io indietreggio per mantenere una distanza di sicurezza degna di essere chiamata tale. Tutti gli allarmi del mio corpo lampeggiano contemporaneamente di una luce rossa che ha tutta l'aria di indicare un pericolo imminente "Sono qui per far realizzare il sogno che mi tormenta da quando ti ho vista per la prima volta" mi squadra dalla testa ai piedi e sotto il suo sguardo intenso e perverso mi sento a disagio come se avessi improvvisamente perso tutti i vestiti.

Vorrei dire qualcosa e mandarlo via oppure provare a scappare il più lontano possibile, però la paura sembra aver demolito tutti i miei neuroni. Inoltre, l'unica uscita della villetta è bloccata dal suo corpo che emana un'aura di cattiveria pura, oltre ad una fortissima puzza di fumo che, assieme a tutto il resto, non mi permette di formulare neanche un pensiero di senso compiuto.

"In questi giorni ti ho pensata così tanto e non andrò via di qui fino a che non mi darai quello che voglio" Devo fare qualcosa, cazzo. Una qualsiasi cosa. Prima che quell'uomo mi dia una dimostrazione pratica di ciò di cui è capace.

"Non ho nulla da darti" sostengo il tuo sguardo nonostante questo sembra trafiggermi fino a farmi perdere la mia solita sicurezza.

"Invece sì, dolcezza" fa un altro passo nella mia direzione ed io indietreggio ancora un po'. Mi muovo lentamente perché ho paura che anche una sola mossa sbagliata possa accelerare questa situazione in cui sono prigioniera "Non hai neanche idea di quanto tu possa offrirmi" si passa la lingua sulle labbra facendomi rabbrividire "E poi sei rimasta incinta a diciassette anni... Puttana come sei uno in più o uno in meno non dovrebbe fare così tanta differenza" non devo piangere, cazzo. Non devo mostrarmi debole e devo cercare di prendere tempo.

Apro la bocca per parlare, ma non ne esce nessun suono.

"Cosa c'è? Il gatto ti ha mangiato la lingua?" la sua risata malefica riecheggia nel soggiorno vuoto "Mi piacevi di più quando mi stuzzicavi, ma non fa nulla... Posso accontentarmi anche così" un altro fottuto passo verso di me ed io, ovviamente, ne faccio un altro per evitare che il padre di Cole entri nel raggio di sicurezza che mi sono imposta di non fargli oltrepassare. Purtroppo, però, la mia schiena incontra il muro e l'uomo si avvicina. Nonostante sia rinchiusa in una trappola a tutti gli effetti, cerco di non mostrargli il mio panico perché ho paura che possa eccitarlo più di quanto già non lo sia.

"Come sei bella" sussurra poggiandomi una mano sulla guancia "Sto morendo dalla voglia di farti mia" mi ripassa il contorno delle labbra con le dita dure come la pietra e fredde come il ghiaccio.

Mi piacerebbe metterlo KO con una delle mosse che ho imparato al corso di difesa personale, però in questo momento non riesco a ricordare nemmeno il mio nome, figuriamoci tecniche di autodifesa.

Perfectly WrongWhere stories live. Discover now